Guerriglia

forma di conflitto armato in cui una delle due organizzazioni combattenti evita scontri campali preferendo logorare il nemico con piccole unità, spesso irregolari, molto mobili e dotate di appoggio da parte della popolazione locale
Disambiguazione – "Guerrilla" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Guerrilla (disambigua).

La guerriglia (in spagnolo guerrilla) o guerra di guerriglia (in spagnolo guerra de guerrillas) è una particolare modalità di guerra condotta con specifica conoscenza del terreno e delle condizioni ambientali, da parte di formazioni di limitata entità per lo più irregolari, cioè composte da forze definibili come militari irregolari, ribelli, partigiani, paramilitari o civili armati, compresi i bambini soldato. In un contesto di ribellione, conflitto violento, guerra o guerra civile, i guerriglieri possono rivolgere le loro azioni contro le truppe regolari del loro stesso Stato (allo scopo di abbattere il regime costituito o protestare contro di esso), contro le truppe di uno Stato estero (allo scopo di liberare il loro Paese dalle truppe straniere che lo occupano), o contro forze insorte rivali. La guerriglia si sviluppa mediante imboscate, raid, sabotaggi, tattiche mordi e fuggi, attentati, attacchi di sorpresa e conseguenti brevi scontri, generalmente effettuati in zone montane, boscose o impervie, che sono particolarmente favorevoli allo spostamento rapido di piccole formazioni; può esistere anche una guerriglia urbana, effettuata da piccoli gruppi in città, in genere contro le forze di polizia[1][2].

Guerriglieri spagnoli tendono un'imboscata a una colonna francese durante la Guerra d'Indipendenza Spagnola (1808-1814).

Etimologia

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Un predecessore della parola "guerriglia" proviene dall'espressione "piccola guerra" (in francese petite guerre), diffusa nel XVIII secolo fra i militari di tutta Europa soprattutto grazie ai successi ottenuti dalle truppe leggere di Maria Teresa durante la Guerra di Successione Austriaca (1741-1748). Tale espressione descriveva le azioni di ricognizione e imboscata eseguite da truppe leggere ad alta mobilità, che conducevano tali azioni con il favore del buio e dell'effetto sorpresa, attaccando il nemico con estrema rapidità per poi ripiegare altrettanto prontamente dal luogo dello scontro. La petite guerre settecentesca fu praticata soprattutto in America del Nord durante la Guerra dei Sette Anni (1756-1763), in India, e da alcune unità militari austriache e russe (panduri, ussari, ulani e cosacchi), venendo fatta oggetto di studio di vari trattati militari contemporanei, come il Traité de la petite guerre di Armand-François de La Croix. Tuttavia, pur avendo tutti gli elementi della guerriglia, essa era intesa per essere condotta da "guerriglieri in uniforme", e come funzionale a una grande battaglia campale risolutiva combattuta fra eserciti regolari, non come una pratica che potesse vincere una battaglia o una guerra autonomamente[3].

Il termine petite guerre venne tradotto nello spagnolo "guerrilla" durante la Guerra d'Indipendenza Spagnola (1808-1814), parte delle Guerre Napoleoniche (1803-1815), la quale fu uno dei primi esempi di guerriglia su vasta scala dell'epoca moderna, perché largamente combattuta da milizie irregolari spagnole – ovvero non formalmente inquadrate nelle forze armate regolari spagnole, portoghesi o inglesi – contro gli invasori francesi napoleonici[4]. Secondo lo storico messicano Guadalupe Jiménez Codinach, il termine apparve per la prima volta sul quotidiano The Times di Londra nel 1808[5]:

(ES)

«Por primera vez aparece en la prensa internacional la palabra guerrilla en español. El diario The Times de Londres publica el 27 de octubre de 1808: En España están peleando civiles con guerrilla, y entre paréntesis ponen ‘little war’, pequeña guerra. Y explican que es una forma de pelear donde atacan y se retraen, atacan y se retraen… ¡No son ejército, son civiles!»

(IT)

«Per la prima volta apparve sulla stampa internazionale la parola guerriglia in spagnolo. Il quotidiano The Times di Londra pubblicava il 27 ottobre 1808: In Spagna i civili combattono con la guerriglia, e tra parentesi poneva 'little war', piccola guerra. E spiegava che è una forma di combattimento in cui attaccano e si ritirano, attaccano e si ritirano... Non sono un esercito, sono civili!»

Nell'Antichità

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Il generale, filosofo e stratega Sun Tzu, nel suo trattato L'arte della guerra del VI secolo a.C., fu uno dei primi sostenitori dell'uso della guerriglia[6][7]. La prima descrizione della guerriglia è una presunta battaglia tra l'imperatore Huang e il popolo Myan (Miao) in Cina[8].

Anche tribù nomadi e migratorie come gli Sciti, i Goti, i Vandali e gli Unni usarono elementi della guerriglia per combattere l'Impero persiano, l'Impero romano e Alessandro Magno[2].

 
Statua di Quinto Fabio Massimo Verrucoso, detto "il Temporeggiatore" (275-203 a.C.).

Quinto Fabio Massimo Verrucoso, soprannominato "il Temporeggiatore", ampiamente considerato il "padre della guerriglia" del suo tempo, ideò una strategia che usò con grande efficacia contro l'esercito di Annibale durante la Seconda Guerra Punica (218-202 a.C.) che prevedeva di evitare tutti gli scontri diretti che non fossero strettamente necessari, preferendo fare terra bruciata attorno all'esercito nemico, attaccare le sue vie di approvvigionamento e infliggergli continue perdite che non potevano essere facilmente rimpiazzate[9][10][11].

La guerriglia era usata comunemente dalle varie tribù celtiche, germaniche e africane che i Romani affrontarono nel corso della loro storia. Nel II secolo a.C. il loro primo grande esponente sarebbe stato il capo lusitano Viriato, la cui conoscenza delle tattiche di guerriglia gli valse otto anni di vittorie sugli eserciti romani. Sarebbe morto per tradimento senza essere mai stato sconfitto in modo decisivo sul campo di battaglia[11]. Anche il gallo Vercingetorige favorì la guerra mobile e il taglio delle linee di rifornimento nella sua rivolta contro la Repubblica romana nel 52 a.C., e Arminio dei Cherusci germanici sfruttò il terreno e le formazioni dell'esercito romano imperiale per vincere la battaglia della foresta di Teutoburgo nel 9 d.C.[11]. Anche il condottiero numida Tacfarinas usò la guerriglia, costringendo l'Impero romano ad allearsi con popoli nativi vicini per sconfiggerlo definitivamente[11]. In seguito Carataco, il capo di guerra dei Catuvellauni britannici, impiegò la guerriglia mescolata a occasionali brevi battaglie per otto anni. Sebbene Carataco alla fine fosse stato catturato dai Romani, Tacito scrive che lo rispettavano.

Nel mondo antico classico, questo tipo di guerra era menzionato indirettamente dai Greci nelle storie omeriche, ma era solitamente inteso come insieme di azioni "mordi e fuggi" finalizzate alla ricerca di bottino in territorio nemico, più o meno come la successiva pirateria vichinga. Non ci sono molti esempi di guerriglia nell'antica guerra greca, sebbene gli Etoli ne fecero uso contro Demostene e la sua fanteria pesante oplitica durante la campagna etolica (426 a.C.)[11].

Nel Medioevo

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La guerriglia era praticata dall'Impero bizantino, in particolare durante le sue guerre con il Califfato abbaside. A metà del X secolo queste pratiche furono codificate in un manuale militare noto con la moderna traduzione latina del suo titolo greco, De velitatione bellica. Attribuito all'imperatore Niceforo II Foca, questo manuale descriveva le tattiche impiegate lungo i monti Tauro, la regione di confine tra impero e califfato. Le tattiche si concentravano sul tracciamento degli invasori, limitando i danni che potevano causare attraverso un'attenta sorveglianza e contro-incursioni, per poi attaccarli nei passi di montagna quando erano carichi di bottino e prigionieri. Seguire le forze nemiche senza farsi notare e organizzare imboscate ai loro danni sono i temi principali del testo[12].

Durante l'invasione mongola dell'Europa, la guerriglia e la dura resistenza portata avanti da popolazioni dell'est europeo, in particolare in Croazia e Dzurdzukezia, aiutò a impedire che i mongoli stabilissero una presa permanente sul loro territorio e a scacciarli[13][14]. Nel XV secolo, l'imperatore e generale vietnamita Lê Lợi lanciò una guerra di guerriglia contro i cinesi[15].

 
Ritratto di Giorgio Castriota Scanderbeg (1405-1468).

Una delle guerre di guerriglia di maggior successo fu condotta da Giorgio Castriota Scanderbeg contro l'Impero ottomano invasore. Nel 1443 Scanderbeg radunò le forze albanesi e scacciò i turchi dalla sua patria. Scanderbeg combatté una guerra di guerriglia contro eserciti invasori fino a 20 volte più grandi del suo, usando il terreno montuoso a suo vantaggio. Molestò il vasto esercito ottomano con piccole unità e azioni "mordi e fuggi", oltre a usare finte ritirate seguite da improvvisi contrattacchi e altre tattiche sconosciute nella guerra fino ad allora. Per 25 anni Scanderbeg impedì ai turchi di riprendere l'Albania, che a causa della sua vicinanza all'Italia, avrebbe potuto facilmente servire da trampolino di lancio per un'ulteriore avanzata ottomana in Europa[16].

Nel 1462, gli ottomani furono respinti dal principe valacco Vlad III Dracula. Vlad non fu in grado di impedire ai turchi di entrare in Valacchia, quindi ricorse alla guerriglia, organizzando costantemente piccoli attacchi e imboscate contro i turchi[17]. Durante il Diluvio in Polonia furono applicate tattiche di guerriglia[18]. Nella Guerra dei Cent'anni (1337-1453) tra Inghilterra e Francia, il comandante Bertrand du Guesclin usò tattiche di guerriglia per infastidire gli invasori inglesi. Il signore della guerra e pirata frisone Pier Gerlofs Donia combatté una guerriglia contro Filippo I di Castiglia[19] e con il suo co-comandante Wijerd Jelckama contro Carlo V[20][21].

Durante la rivolta olandese del XVI secolo, i Geuzen intrapresero una guerriglia contro l'Impero spagnolo[22]. Durante la Guerra di Scania (1675-1679), un gruppo di guerriglia filo-danese noto come gli Snapphane combatté contro gli svedesi.

Il maragià Shivaji fu il pioniere dello Shiva sutra o Ganimi Kava (tattiche di guerriglia) contro i Moghul e altre potenze nel 1645, portando alla fondazione dello stato Maratha nel 1674, gettando le fondamenta di quello che sarebbe diventato l'ultimo grande impero indiano, l'Impero Maratha, prima del Raj britannico[23].

Nell'Irlanda del XVII secolo, irregolari irlandesi chiamati Tories e Rapparees usarono la guerriglia nelle Guerre Confederate Irlandesi (1641-1653) e nella Guerra Guglielmita in Irlanda (1689-1691).

Nel XVIII secolo (1700-1815)

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Guerriglieri finlandesi, detti Sissi, combatterono contro le truppe russe durante la Grande Guerra del Nord (1700-1721).

Guerre coloniali in Nord America

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Colonizzazione europea delle Americhe.

Nel Nord America, uno dei primi casi registrati di guerriglia fu la resistenza degli Apalachee agli spagnoli durante la spedizione di Narváez nel 1528 nella Florida spagnola.

A metà del XVII secolo i coloni della Nuova Francia erano in conflitto con la Confederazione irochese. Le forze irochesi usarono tattiche "mordi e fuggi", azioni di disturbo ed evitarono costose battaglie campali. I coloni della Nuova Francia iniziarono a chiamare queste tattiche indiane la petite guerre perché tali tattiche erano pensate per condurre incursioni, in contrapposizione alle tipiche battaglie campali europee. I coloni della Nuova Francia appresero la petite guerre da altri popoli indiani locali, come gli Uroni, gli Wobanaki, gli Algonchini e gli Ottawa, per poi usarla con successo contro gli Irochesi.

 
Ritratto di Benjamin Church (1639-1718).

Il maggiore Benjamin Church e i coloni del New England appresero le tattiche di guerriglia attraverso la guerra dei nativi, adottando le tattiche di esplorazione e incursione degli indiani sin dalla Guerra di re Filippo (1675). Durante le quattro Guerre franco-indiane (1689-1763), a partire dalla fine del XVII secolo, i Canadiens, la Confederazione Wabanaki e alcuni Acadiani portarono la petite guerre nelle colonie del New England e nella valle dell'Ohio. Nell'attuale Maine, il missionario gesuita francese Sebastian Rale guidò la Confederazione Wabanaki in una petite guerre lungo il confine tra New England e Acadia. Una generazione dopo, in Nuova Scozia, il presbitero francese Jean-Louis Le Loutre guidò i Mi'kmaq e gli Acadiani in una petite guerre dietro le linee anglo-americane in vista dell'ultima Guerra franco-indiana[24].

Durante la guerra franco-indiana la petite guerre salì alla ribalta quando gli indiani della valle dell'Ohio sconfissero la spedizione di Braddock vicino alle biforcazioni dell'Ohio nella battaglia del Monongahela. In Nuova Scozia, l'ufficiale francese Charles Deschamps de Boishébert guidò i Mi'kmaq e gli Acadiani in una guerra di guerriglia mentre gli inglesi espellevano gli Acadiani dalla regione[25]. Nel Nordest, un boscaiolo del New Hampshire, Robert Rogers, iniziò a creare scalpore nell'establishment delle Forze armate britanniche per il suo successo nell'uso delle tattiche della "piccola guerra". I leader militari britannici come Jeffery Amherst, John Forbes e Henry Bouquet capirono che avevano bisogno di imparare e adottare le tattiche della piccola guerra o ne sarebbero stati consumati, come accaduto a Braddock. L'apparato militare britannico iniziò ad adottare alcune delle tattiche di petite guerre come "fanteria leggera"[26].

Rivoluzione americana

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra d'indipendenza americana.

Sebbene molti degli scontri della Rivoluzione americana fossero convenzionali, la guerriglia fu utilizzata in una certa misura durante questo conflitto dal 1775 al 1783, il che ebbe un impatto significativo. Le tattiche di guerriglia furono utilizzate per la prima volta nelle Battaglie di Lexington e Concord dai Patriots il 19 aprile 1775. George Washington a volte usò metodi non convenzionali per combattere gli inglesi. Durante la Guerra del foraggio, George Washington inviò unità di milizia con un supporto limitato dell'Esercito continentale per lanciare incursioni e imboscate contro distaccamenti dell'Esercito britannico e gruppi incaricati di raccogliere foraggio; la milizia e il supporto dell'Esercito continentale avrebbero effettuato schermaglie contro distaccamenti britannici in battaglie e scontri su piccola scala. Durante la Guerra del foraggio, le vittime britanniche superarono le 900. La Guerra del foraggio sollevò il morale degli americani poiché le loro operazioni di guerriglia contro gli inglesi si dimostrarono efficaci. Diversi famosi ufficiali coloniali americani ebbero successo con tattiche di guerriglia, in particolare William R. Davie, John Stark, David Wooster, Thomas Knowlton, Francis Marion, Israel Putnam, Shadrach Inman, Ethan Allen, Daniel Morgan, i fucilieri del Morgan's Corps of Rangers e gli Overmountain Men. Nella successiva storia degli USA, corpi come i Rangers avrebbero poi svolto operazioni di pulizia etnica ai danni della popolazione nativa indiana, per esempio nel Texas[27]. Durante la Guerra d'indipendenza tutti questi guerriglieri americani fecero la loro parte usando tattiche non convenzionali per combattere gli inglesi e i lealisti. Nathanael Greene usò una strategia di guerriglia molto efficace contro Lord Cornwallis. Innanzitutto, Greene continuò a ritirarsi per attirare gli inglesi lontano dalle loro linee di rifornimento, quindi inviò le sue forze a combattere in piccole scaramucce e scontri con distaccamenti britannici per indebolirli. Quindi, combattendo una battaglia convenzionale, Greene si scontrò con Cornwallis a Guilford Court House: Cornwallis risultò vincitore, ma la sua vittoria fu di Pirro, poiché ebbe troppe perdite che non poteva permettersi. Sebbene la guerriglia venisse spesso usata per evitare battaglie, gli americani combatterono in formazioni lineari convenzionali in battaglie decisive contro gli inglesi, fino alla resa britannica a Yorktown che portò all'indipendenza delle tredici colonie. Molti dei comandanti americani che usarono tattiche e strategie di guerriglia vennero romanticizzati con il passare del tempo, sebbene le forze armate terrestri e navali francesi alleate avessero avuto un ruolo preponderante nella campagna finale[28] e nell'intera guerra.

Controrivoluzione vandeana

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre di Vandea.

Dal 1793 al 1796 scoppiò una rivolta contro la Rivoluzione francese da parte dei monarchici cattolici nel dipartimento della Vandea. Questo movimento intendeva opporsi alla persecuzione subita dalla Chiesa cattolica romana nella Francia rivoluzionaria, e in ultima analisi ripristinare la monarchia. Sebbene mal equipaggiata e non addestrata nelle tattiche militari convenzionali, la controrivoluzione vandeana, nota come "Reale esercito cattolico", si affidò molto alle tattiche di guerriglia, sfruttando appieno la loro conoscenza approfondita della campagna paludosa e densamente boscosa. La rivolta in Vandea venne alla fine soppressa dalle truppe governative, ma i suoi successi contro l'esercito repubblicano più grande e meglio equipaggiato furono notevoli.

Guerre coloniali in Australia

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Le guerre di Hawkesbury e Nepean (1790-1816) – le prime delle guerre che nella storiografia inglese vengono chiamate "Australian frontier wars" – furono una serie di conflitti tra il New South Wales Corps (un reparto militare inglese attivo fra 1789 e 1818) e gli Aborigeni australiani del fiume Hawkesbury e del fiume Nepean a Sydney, in Australia[29]. La popolazione locale dei Darug attaccò le fattorie dei coloni finché il governatore Lachlan Macquarie non inviò truppe dal 46th Regiment of Foot nel 1816. Il popolo Darug fu combattuto usando principalmente tattiche di guerriglia; tuttavia, si verificarono anche diverse battaglie convenzionali. Anche gli Aborigeni australiani guidati da Pemulwuy, un condottiero della resistenza indigena, effettuarono delle incursioni nei pressi di Parramatta, un sobborgo occidentale di Sydney, nel periodo compreso tra il 1795 e il 1802. Questi attacchi portarono il governatore Philip Gidley King a emanare un ordine nel 1801 che autorizzava i coloni a sparare a vista agli Aborigeni australiani nelle aree di Parramatta, Georges River e Prospect. I clan indigeni di Hawkesbury River e Nepean River furono successivamente sconfitti dagli inglesi ed espropriati delle loro terre[30].

Guerre napoleoniche

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre napoleoniche.

Durante le Guerre napoleoniche (1803-1815) molti degli eserciti vivevano di ciò che produceva la terra su cui sostavano. Ciò spesso portava a una certa resistenza da parte della popolazione locale se l'esercito non pagava prezzi equi per i prodotti che consumava. Di solito, questa resistenza era sporadica e non molto riuscita, quindi non classificabile come guerriglia. Ci furono tuttavia tre eccezioni degne di nota, determinate soprattutto dalla volontà di popolazioni intenzionate a non vivere sotto la dominazione napoleonica e a preservare le loro tradizioni e la loro indipendenza politica e nazionale:

Annessione napoleonica del Tirolo
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  Lo stesso argomento in dettaglio: Insorgenza tirolese.

Il Tirolo, dopo la sconfitta dell'Austria nella guerra della Terza coalizione (1805-1806), fu annesso alla Baviera a seguito del trattato di Presburgo. La Baviera, alleata della Francia napoleonica, varò una serie di riforme di stampo illuministico, come l'introduzione della coscrizione obbligatoria e la limitazione del potere ecclesiastico, che si scontrarono con antichi privilegi locali (ad esempio, nel Tirolo absburgico vigeva un sistema di difesa senza coscrizione obbligatoria ad opera di milizie territoriali che non potevano essere impiegate al di fuori della regione). Fu soprattutto l’introduzione della coscrizione, unitamente a un decreto che mutava il nome del Tirolo in "Baviera meridionale", a dare inizio a una guerriglia popolare, che tuttavia scoppiò non tanto per fedeltà verso gli Absburgo quanto per difendere tradizioni, anche religiose, minacciate da dominatori stranieri. A partire dal marzo 1809 tale guerriglia fu guidata dall'oste e mercante di cavalli Andreas Hofer, Speckbacher e Haspinger, ma, dopo alcuni successi iniziali soprattutto nell'area del monte Isel che portarono a una momentanea liberazione di Innsbruck, fu repressa definitivamente nell'ottobre dello stesso anno. Il fallimento della rivolta fu dovuto principalmente a discordie fra i suoi capi e all'insufficiente appoggio dato agli insorti da parte del governo e delle truppe regolari austriache[31][32].

Invasione napoleonica della Russia
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  Lo stesso argomento in dettaglio: Campagna di Russia.
 
Stampa raffigurante un contadino russo assalire militari francesi durante l'invasione napoleonica della Russia (1812).

Durante l'invasione napoleonica della Russia del 1812 i contadini abbandonarono in massa le terre unendosi alla ritirata dell'Esercito russo, distruggendo i raccolti e facendo resistenza alle truppe francesi mediante la guerriglia[33]. I contadini, dimostrando sincero odio verso il nemico, organizzarono raggruppamenti di partigiani che, guidati da brillanti ufficiali come il tenente colonnello ussaro Denis Davydov, Jermolai Četverikov e Aleksandr Figner[34], inflissero perdite significative alle truppe francesi, soprattutto per quanto riguarda distaccamenti e pattuglie isolate e i convogli di rifornimento, rendendo il territorio e le campagne molto pericolose per i soldati nemici[35]. Queste operazioni resero le truppe francesi incapaci di combattere o persino di muoversi, a causa della carenza di cibo e munizioni, e non solo a causa dell'inverno russo come solitamente si dice. La guerra dei partigiani fu spietata e costellata di crudeltà e distruzioni; a essa i francesi risposero con rappresaglie, processi sommari e fucilazioni che accrebbero l'odio popolare verso l'invasore[36]. Anche l'incendio di Mosca dopo la sua occupazione da parte della Grande Armata di Napoleone, che privò i francesi di un rifugio in città, potrebbe essere associato oltre che alla tattica della terra bruciata anche a un'azione di guerriglia, nella misura in cui era un attacco alle risorse disponibili al nemico piuttosto che un attacco diretto alle sue truppe (e nella misura in cui era un'azione volontaria russa piuttosto che una conseguenza involontaria di truppe del diciannovesimo secolo accampate in una città in gran parte abbandonata di edifici in legno). La guerra di resistenza contro Napoleone è nota in Russia col nome di Guerra Patriottica (in russo Отечественная война?, Otečestvennaja vojna).

Invasione napoleonica della Spagna
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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra d'indipendenza spagnola.

Durante la Guerra d'Indipendenza Spagnola (1808-1814) i guerriglieri spagnoli e portoghesi bloccarono centinaia di migliaia di truppe dell'Esercito imperiale francese e ne uccisero decine di migliaia. Le continue perdite di truppe spinsero Napoleone a descrivere questo conflitto come la sua "ulcera spagnola". Questa fu una delle guerre partigiane di maggior successo della storia e fu lì che la parola "guerriglia" fu usata per la prima volta in questo contesto. L'Oxford English Dictionary cita Wellington come la più antica fonte conosciuta del termine, il quale parlò di "guerrillas" nel 1809. Il poeta William Wordsworth mostrò una precoce intuizione sulla natura dei metodi di guerriglia nel suo opuscolo del 1809[37] riguardante la Convenzione di Cintra:

(EN)

«It is manifest that, though a great army may easily defeat or disperse another army, less or greater, yet it is not in a like degree formidable to a determined people, nor efficient in a like degree to subdue them, or to keep them in subjugation–much less if this people, like those of Spain in the present instance, be numerous, and, like them, inhabit a territory extensive and strong by nature. For a great army, and even several great armies, cannot accomplish this by marching about the country, unbroken, but each must split itself into many portions, and the several detachments become weak accordingly, not merely as they are small in size, but because the soldiery, acting thus, necessarily relinquish much of that part of their superiority, which lies in what may be called the engineer of war; and far more, because they lose, in proportion as they are broken, the power of profiting by the military skill of the Commanders, or by their own military habits. The experienced soldier is thus brought down nearer to the plain ground of the inexperienced, man to the level of man: and it is then, that the truly brave man rises, the man of good hopes and purposes; and superiority in moral brings with it superiority in physical power.»

(IT)

«È evidente che, sebbene un grande esercito possa facilmente sconfiggere o disperdere un altro esercito, più piccolo o più grande, tuttavia non è in egual misura formidabile per un popolo determinato, né efficiente in egual misura nel sottometterlo o nel tenerlo in soggezione, tanto meno se questo popolo, come quelli della Spagna nel caso presente, è numeroso e, come loro, abita un territorio esteso e forte per natura. Perché un grande esercito, e persino diversi grandi eserciti, non possono realizzare questo marciando per il Paese, compatti, ma ognuno deve dividersi in molte porzioni, e i vari distaccamenti diventano deboli di conseguenza, non solo perché sono di piccole dimensioni, ma perché i soldati, agendo in questo modo, necessariamente rinunciano a gran parte di quella parte della loro superiorità, che risiede in quello che può essere chiamato l'ingegneria della guerra; e molto di più, perché perdono, in proporzione a come sono spezzati, il potere di trarre profitto dall'abilità militare dei comandanti, o dalle loro stesse abitudini militari. Il soldato esperto viene così portato più vicino al terreno pianeggiante dell'inesperto, l'uomo al livello dell'uomo: ed è allora che l'uomo veramente coraggioso si eleva, l'uomo di buone speranze e propositi; e la superiorità morale porta con sé la superiorità nella potenza fisica.»

Von Brandt, un ufficiale prussiano che combatteva con i regolari francesi contro i guerriglieri spagnoli, scrisse nel suo diario[38][39]:

«Ovunque arrivassimo, loro scomparivano, ogni volta che ce ne andavamo, loro arrivavano – erano ovunque e da nessuna parte, non avevano un centro tangibile che potesse essere attaccato.»

Questa guerra vide le forze britanniche e portoghesi usare il Portogallo come posizione sicura dalla quale lanciare campagne contro l'Esercito francese, mentre i guerriglieri spagnoli dissanguavano gli occupanti. Lo storico David Gates nota che gran parte dell'Esercito francese «fu reso indisponibile per le operazioni contro Wellington perché innumerevoli contingenti spagnoli continuavano a materializzarsi in tutto il Paese. Nel 1810, ad esempio, quando Massena invase il Portogallo, le forze imperiali nella penisola ammontavano a un totale di 325.000 uomini, ma solo circa un quarto di questi poteva essere risparmiato per l'offensiva: il resto era necessario per contenere gli insorti e i regolari spagnoli. Questo fu il più grande contributo singolo che gli spagnoli avrebbero potuto dare e, senza di esso, Wellington non avrebbe potuto mantenersi a lungo nel continente – per non parlare di uscire vittorioso dal conflitto»[40]. Insieme, le forze alleate regolari e irregolari impedirono ai marescialli di Napoleone di sottomettere le province spagnole ribelli[41].

Guerra anglo-americana

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra anglo-americana.

Sebbene durante la Guerra anglo-americana (1812-1815) – anche detta Guerra del 1812 per via dell'anno in cui scoppiò – la maggior parte degli scontri furono convenzionali, la guerra non convenzionale fu utilizzata in una certa misura dagli americani nel loro secondo conflitto con l'Impero britannico. Gli americani utilizzarono forme di guerra non convenzionale, come incursioni, attacchi a sorpresa e talvolta imboscate[42]. Alcuni comandanti del Regiment of Riflemen si rivelarono abbastanza competenti in alcuni tipi limitati di guerra non convenzionale contro l'Impero britannico, come Benjamin Forsyth, Daniel Appling e Ludowick Morgan. Altri americani che utilizzarono incursioni "mordi e fuggi" e attacchi a sorpresa furono Duncan MacArthur, Alexander Smyth, Andrew Holmes, Daniel Bissell, John B. Campbell e George McGlassin. Gli USA, tuttavia, avevano anche combattenti "anfibi" che certa storiografia americana considera "guerriglieri del mare": comandanti della Marina degli Stati Uniti o corsari che razziavano le navi mercantili britanniche. Tali corsari americani razziavano le navi britanniche issando bandiere inglesi per sorprendere e catturare le navi britanniche, o camuffando la propria nave come un vascello dall'aspetto innocuo con fucilieri nascosti per tendere un'imboscata o sorprendere le ignare navi britanniche. Questi americani erano Melancthon Taylor Woolsey, Otway Burns, Thomas Boyle, David Porter, Jesse Elliot, John Percival, John Ordronaux e William Josephus Stafford. La milizia americana che era famosa per le sue forme di guerriglia nella Rivoluzione americana non fu usata così efficacemente nella Guerra del 1812. La milizia fu scarsamente utilizzata come truppa convenzionale, scarsamente armata, sottofinanziata e scarsamente addestrata, il che la rese significativamente meno efficace rispetto alla sua controparte della Rivoluzione americana, causando perciò pochi danni. Uno dei pochi comandanti ad aver utilizzato efficacemente le tattiche di guerriglia sarebbe stato Alexander Macomb, le cui azioni sono menzionate nel libro The Battles at Plattsburgh: September 11, 1814 di Keith A. Herkalo[43]. Il libro menziona come Macomb ordinò alla milizia americana di sparare contro gli inglesi da dietro alberi, rocce e cespugli mentre si ritirava o manovrava attorno a loro nei boschi durante la Battaglia di Plattsburgh; si disse che la milizia americana con il suo stile di combattimento da guerriglia giocò un ruolo importante nella vittoria americana in tale battaglia[44]. Alla fine della guerra gli USA ottennero pochissimi risultati favorevoli, come la sconfitta della Confederazione di Tecumseh (una confederazione di popoli nativi indiani nella regione dei Grandi Laghi, in quel periodo alleata degli inglesi). Per quanto riguarda le forze armate regolari britanniche, gli USA poterono combatterle solo fino al punto di conseguire uno stallo o pareggio. È discutibile se una qualsiasi azione di guerriglia da parte americana abbia avuto un impatto sull'esito della guerra, tuttavia tali azioni fornirono alcune lezioni per i futuri comandanti militari e storici americani desiderosi di apprendere i metodi delle tattiche e delle strategie di guerriglia[45].

Nel XIX secolo (1815-1914)

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Guerra civile americana

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra civile americana.

Anche durante la Guerra civile americana (1861-1865), come durante la Guerra del 1812, si verificarono alcuni episodi di guerra non convenzionale[46].

Azioni di guerriglia si svilupparono nell'entroterra degli Stati di confine (Missouri, Arkansas, Tennessee, Kentucky e Virginia nord-occidentale) e furono caratterizzate da un feroce conflitto tra vicini. Un esempio furono le opposte forze irregolari operanti nel Missouri e nell'Arkansas settentrionale dal 1862 al 1865, la maggior parte delle quali erano pro-Confederate o pro-Unione, anche se a volte lo erano solo di nome dato che depredavano civili e forze militari isolate di entrambe le parti con scarso riguardo per la politica. Da queste forze guerrigliere semi-organizzate si formarono diversi gruppi ai quali fu data una certa legittimità dai loro rispettivi governi. I Quantrill's Raiders, che terrorizzarono i civili pro-Unione e combattevano le truppe federali in vaste aree del Missouri e del Kansas, erano una di queste unità. Un'altra unità simile, con tenui legami con l'Esercito confederato, era guidata da Champ Ferguson lungo il confine tra Kentucky e Tennessee; Ferguson fu giustiziato dopo la guerra. Decine di altre piccole bande locali terrorizzarono la campagna in tutta la regione di confine durante il conflitto, portando una guerra totale nell'area che durò fino alla fine della Guerra civile e, in alcune zone, anche oltre.

Oltre a queste bande, alcune unità militari regolari sia dell'Esercito dell'Unione sia dell'Esercito Confederato furono adibite allo svolgimento di operazioni di guerriglia (raid) in profondità dietro le linee nemiche. Il Partisan Ranger Act del 21 aprile 1862 approvato dal Congresso confederato autorizzò la formazione di tali unità e diede loro legittimità: un esempio fu il 43rd Virginia Cavalry Battalion di John Singleton Mosby, unità anche detta Mosby's Rangers, che fu molto efficace nel legare le forze federali dietro le linee dell'Unione nella Virginia settentrionale negli ultimi due anni di guerra. Altre unità come quelle di Nathan Bedford Forrest e John Hunt Morgan operarono come parte delle forze di cavalleria dell'Esercito confederato del Tennessee nel 1862 e nel 1863. Furono assegnate loro missioni specifiche per distruggere centri logistici, ponti ferroviari e altri obiettivi strategici dell'Unione per supportare la missione più ampia dell'Esercito confederato del Tennessee. A seguito della distruzione dell'unità di Morgan durante il Grande Raid del 1863, la Confederazione condusse sempre meno incursioni di cavalleria profonde negli ultimi anni della guerra, principalmente a causa delle perdite di cavalieri esperti e delle operazioni offensive dell'Esercito dell'Unione. La cavalleria federale condusse invece sempre più incursioni di successo durante la guerra, un esempio notevole fu il Raid di Grierson del 1863, che contribuì a preparare il terreno per la vittoria del generale Ulysses S. Grant durante la campagna di Vicksburg.

Alla fine, le operazioni federali di controguerriglia riuscirono a impedire il successo della guerriglia confederata. In Arkansas, le forze federali utilizzarono un'ampia varietà di strategie per sconfiggere gli irregolari: uso delle forze unioniste dell'Arkansas come truppe antiguerriglia; uso delle forze fluviali della Marina dell'Unione per controllare i corsi d'acqua; creazione di un sistema di spionaggio per identificare e fermare i presunti guerriglieri; sviluppo di una cavalleria più efficace; creazione di numerosi fortini e fortificazioni per difendere obiettivi strategici; e gravi rappresaglie contro le comunità sospettate di supportare la guerriglia confederata, mediante distruzioni, trasferimenti forzati di popolazioni e requisizioni, che provocarono gravissimi danni all’economia del Sud.

Tuttavia, i tentativi federali di sconfiggere alcune singole unità confederate che usavano tattiche di guerriglia non ebbero successo, come nel caso dei Mosby's Rangers che erano organizzati in unità molto piccole (10-15 uomini) che operavano in aree considerate amichevoli per la causa confederata. Un altro reggimento confederato noto come Thomas Legion, composto da indiani Cherokee e bianchi anti-Unione, si trasformò in una forza di guerriglia e continuò a combattere nell'entroterra montano remoto della Carolina del Nord occidentale per un mese dopo la resa di Robert E. Lee ad Appomattox. Tale unità non fu mai completamente soppressa dalle forze dell'Unione, ma cessò volontariamente le ostilità dopo aver catturato la città di Waynesville il 10 maggio 1865.

Guerre anglo-boere

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerre boere.

Durante le Guerre anglo-boere in Sudafrica la guerriglia fu ampiamente utilizzata dalle forze delle repubbliche boere (Repubblica del Transvaal, Stato Libero dell'Orange) contro l'Esercito dell'Impero britannico, allo scopo di ottenere l'indipendenza[47].

 
Guerriglieri boeri durante la Seconda guerra anglo-boera (1899-1902). I due in primo piano sono armati con fucili Lee-Metford.

I boeri erano eccellenti cavalieri e tiratori, e conoscevano bene il terreno sul quale si muovevano. Secondo la legge boera, ogni cittadino fra i 16 e i 60 anni doveva essere sempre pronto a combattere per il suo Paese in ogni momento: doveva quindi disporre di un cavallo, di una sella, di un fucile con almeno trenta cartucce e di viveri per otto giorni. I boeri non indossarono uniformi particolari e le loro forze, all'inizio del conflitto, erano equipaggiate con molti fucili a lunga gittata e anche con qualche pezzo di artiglieria, ed erano organizzate in "commandos" il cui numero di effettivi oscillava fra i 300 e i 3.000 uomini. Tuttavia, man mano che le loro scorte di cibo e munizioni si esaurivano, i boeri si divisero sempre più in unità più piccole e fecero affidamento sulle armi e le munizioni britanniche catturate.

Durante la Prima guerra anglo-boera (1880-1881) gli insorti riuscirono ad avere la meglio in breve tempo sulle forze britanniche stanziate in loco durante battaglie come quelle di Bronkhorstspruit, Laing's Nek, Schuinshoogte e Majuba Hill, riuscendo a strappare al governo di Londra un'autonomia che prevedeva l'autogoverno – ma non l'indipendenza – per i loro Stati.

All'inizio della Seconda guerra anglo-boera (1899-1902) sembrò, dopo alcuni successi boeri in campo aperto contro gli inglesi nelle battaglie di Maggersfontein, Colenso e Spion Kop, che gli insorti dovessero avere il sopravvento ancora una volta sul nemico in breve tempo. Tuttavia, nel corso della guerra, i britannici continuarono a far affluire nuove forze e rifornimenti nella regione, mentre le forze e i rifornimenti boeri si assottigliarono sempre più. Nel febbraio 1900 le forze comandate dal generale boero Piet Cronje vennero indotte alla resa nella battaglia di Paardeberg, e il 13 marzo 1900 Bloemfontein (capitale del Libero Stato d’Orange) fu occupata dalle truppe britanniche, che agli inizi di giugno entrarono anche a Pretoria (capitale della Repubblica del Transvaal). I boeri tuttavia non si arresero e continuarono a combattere con tattiche esclusivamente guerrigliere che misero in seria difficoltà gli inglesi, i quali riuscirono a prevalere soltanto nel maggio 1902, dopo due anni di spietate campagne antiguerriglia: oltre a ordinare la difesa delle linee di comunicazione (soprattutto ferrovie e ponti) mediante centinaia di fortini e pattuglie, il generale inglese Horatio Kitchener ordinò altresì di devastare il territorio mediante sequestro di cavalli e bestiame; confisca o distruzione di carri, derrate alimentari, fattorie, raccolti e depositi dei raccolti, panifici e mulini; rastrellamento e deportazione di circa 120.000 persone (il 50% della popolazione boera), internate in 58 campi di concentramento nei quali morirono migliaia di uomini donne e bambini[48]. I metodi dei britannici rafforzarono in molti boeri la volontà di combattere a oltranza, tuttavia la combinazione di tutte le tattiche di controguerriglia alla fine ebbe il sopravvento. Al termine del conflitto, nonostante la sconfitta, i boeri mantennero la loro identità nazionale.

Le ragioni della sconfitta boera, oltre che alle azioni britanniche, sono attribuibili anche a problematiche interne. I boeri mancavano di esperienza e disciplina militare e non erano abituati a ricevere o ad impartire ordini: il loro era un esercito di civili nel quale gli ufficiali potevano essere eletti ma anche destituiti mediante votazioni in qualsiasi momento, e nel quale nessun boero era tenuto a fare qualcosa contro la sua volontà ed era libero di tornare a casa quando voleva; inoltre, fra i vari "commandos" ci fu sempre poco coordinamento. I loro generali, come Joubert e Cronje, si rivelarono troppo prudenti: dopo aver ottenuto una vittoria mancarono sempre di sfruttarla appieno, evitando di inseguire e annientare le truppe nemiche in ritirata o di proseguire l'offensiva verso altre direttrici. Infine, i boeri, sebbene molto abili nel condurre incursioni e imboscate, non ebbero mai un piano strategico generale.

A ogni modo, nei cinque anni successivi alla fine della guerra, per evitare che potesse scoppiarne un'altra, la Gran Bretagna pagò ai boeri 10 milioni di sterline in risarcimento danni. Inoltre, emanò l’Act of Union del 1910, che sarebbe stato propedeutico a un Sud Africa indipendente. Ciò dimostrò quanto efficace potesse essere la guerriglia nell'estrarre concessioni da un nemico militarmente più potente.

Guerra filippino-americana

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Guerra filippino-americana.

Verso la fine del XIX secolo l’arcipelago delle isole Filippine contava una popolazione di circa 7 milioni di abitanti che, per quasi quattro secoli, erano stati tenuti dall'Impero spagnolo in stato di schiavitù. Nel 1896 si sviluppò un’organizzazione segreta filippina chiamata "Katipunan" o "Lega dei Patrioti" guidata dal chirurgo e filosofo José Rizal, che tentò di ottenere l'indipendenza dalla Spagna per mezzo della guerriglia, senza però riuscirvi. La "Katipunan" sopravvisse alla repressione spagnola e il suo nuovo capo, Emilio Aguinaldo, condusse nuove azioni di guerriglia e organizzò un Comitato Centrale Rivoluzionario ed un Congresso Filippino (sorta di "governo ombra"). Nel 1897 una nuova stagione di repressione obbligò tuttavia Aguinaldo ed i suoi luogotenenti a rifugiarsi a Hong Kong. Lì ricevettero ingenti aiuti dagli USA in funzione antispagnola e nel 1898, allo scoppio della Guerra ispano-americana, dopo la distruzione della flotta spagnola nella baia di Manila a opera della squadra navale statunitense comandata da George Dewey, essi ritornarono in patria. Aguinaldo formò in breve tempo un esercito guerrigliero di circa 30.000 uomini, che costrinse le forze spagnole a rinchiudersi in Manila e in altre città principali; con la flotta di Dewey che controllava i porti e le coste, i ribelli proclamarono la Repubblica ed emanarono una Dichiarazione d’Indipendenza, alla quale seguì una Costituzione, ratificata e promulgata dal Congresso Filippino nel gennaio 1899. Sembrò il coronamento della Rivoluzione filippina, e Aguinaldo, in un proclama[49], invitò la popolazione ad accogliere gli americani come liberatori.

 
Antonio Luna y Novicio (1866-1899), generale filippino durante la Guerra filippino-americana (1899-1902).

Tuttavia il governo USA considerava le Filippine un ottimo avamposto per lo sfruttamento del mercato della Cina, e i filippini una razza inferiore incapace di autogovernarsi, come poi dichiarò, ad esempio, il senatore federale Albert J. Beveridge in un discorso al Congresso USA del 9 gennaio 1900[50]. Così, a seguito del Trattato di Parigi del 1898, le Filippine passarono dall'occupazione coloniale spagnola a quella statunitense. Aguinaldo ed i suoi seguaci risposero con la resistenza armata. Il 4 febbraio 1899 iniziarono le ostilità della Guerra filippino-americana: inizialmente, anche con le raccomandazioni dell'abile generale Antonio Luna, la guerriglia era vista dalla parte filippina solo come un'opzione tattica di ultima istanza, e così l’esercito filippino venne presto spinto verso l’entroterra da un grosso attacco di fanteria americana appoggiato dal fuoco navale; resisi conto di non poter sostenere una guerra convenzionale, il 12 maggio i capi filippini si riunirono per pianificare una lunga campagna di guerriglia. Un duro colpo alle possibilità di successo filippine venne dall'assassinio del generale Luna agli inizi del giugno 1899, forse ordinato proprio da Aguinaldo per questioni di rivalità[51][52]. Una brigata comandata dal generale Arthur MacArthur catturò la capitale dei ribelli, Malolos, i quali tuttavia continuarono a combattere. Nel corso della guerra alcune tribù filippine si schierarono con gli americani: nel febbraio 1901 il Congresso USA autorizzò perciò MacArthur a reclutare un corpo di truppe indigene, non eccedente le 12.000 unità, da denominare "Scouts", che doveva consistere inizialmente di 30-50 compagnie di un centinaio di uomini circa, comandate da ufficiali americani. Queste truppe collaborazioniste svolsero un ruolo decisivo riguardo al cambiamento del corso della guerra: riuscendo a penetrare nel quartier generale di Aguinaldo, lo presero prigioniero, per poi condurlo in territorio controllato dagli americani. Aguinaldo fu indotto a prestare giuramento di fedeltà alla bandiera americana e a diramare un proclama di resa. La guerriglia filippina non si arrestò, anche se, venendo privata del suo capo e di un quartier generale, divenne molto meno efficace. Per sedare la rivolta gli americani ricorsero a metodi analoghi a quelli usati dagli inglesi durante la Seconda guerra anglo-boera: distruzione di coltivazioni, capi di bestiame e villaggi (che colpì soprattutto le province di Batangas, Laguna e Luzon), e internamento di civili filippini in campi di concentramento[53] in cui morirono migliaia di persone[54][55] fino all'aprile 1902, quando la guerra fu dichiarata conclusa. Altri gruppi, come i Moro e i Pulahan, continuarono a combattere almeno fino alla loro sconfitta nella battaglia di Bud Bagsak del 15 giugno 1913, e sporadiche rivolte si verificarono fino al 1916. Soprattutto i Moro si rivelarono avversari temibili: si nascondevano nella fitta giungla filippina e nel momento opportuno caricavano in gran numero le truppe americane armati solo di coltelli tipo Bolo. Ciò portò allo sviluppo della pistola M1911, originariamente pensata per abbattere in modo più efficiente i guerriglieri Moro[56]. Infine, il governo USA reclutò migliaia di docenti americani che introdusse nella regione, per educare i nativi ai valori americani[57].

Nel 1946 il governo USA concesse l'indipendenza alle Filippine; secondo lo studioso William J. Pomeroy, si sarebbe però trattata di una concessione formale ma non sostanziale[58].

Rivoluzione messicana

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  Lo stesso argomento in dettaglio: Rivoluzione messicana.

Nell’America Latina d'inizio XX secolo alcune delle più notevoli operazioni di guerriglia furono quelle compiute da Villa e Zapata nel contesto della Rivoluzione messicana (1910-1920), che vide comunque anche operazioni di guerra convenzionale[59].

 
I fratelli Flores Magòn.

Durante la dittatura del generale Porfirio Diaz in Messico, il malcontento popolare aumentò costantemente fino a dar vita, nel 1906, ad un movimento rivoluzionario guidato da due anarchici, i fratelli Flores Magòn, che crearono un partito il cui slogan fu "Terra e Libertà". Essi organizzarono i lavoratori e indissero scioperi nelle miniere e nelle fattorie: tali scioperi vennero soffocati nel sangue dalle truppe governative, le quali uccisero più di duecento lavoratori. Nel 1910 Diaz rifiutò di presentare un altro candidato alla presidenza; si fece quindi avanti l'allora poco noto Francisco Madero, che formò un gruppo chiamato degli "anti-reeleccionistas" (anti-rielezionisti), i quali sostennero che alla scadenza dell’ennesimo mandato di Diaz si sarebbero dovute tenere elezioni realmente democratiche per scegliere un nuovo presidente del Messico. Madero venne arrestato, e a giugno Diaz venne rieletto presidente mediante elezioni truccate. Successivamente Madero riuscì però a fuggire in Texas: lì denunciò la rielezione di Diaz come fraudolenta, si autonominò presidente provvisorio e rese pubblico un programma di riforme chiamato "Piano di San Luis Potosi", incentrato soprattutto sul diritto dei numerosi piccoli proprietari, in maggioranza indigeni, spogliati dei loro beni a causa di una legge di Diaz sulle terre vacanti, a rientrare con indennizzo nel godimento delle loro proprietà. In qualità di “Presidente provvisorio degli Stati Uniti Messicani”, Francisco Madero si assunse la responsabilità di condurre la lotta contro il governo usurpatore di Diaz.

Il 20 novembre 1910 iniziò così la guerriglia, che inizialmente si limitò a piccole scaramucce a Puebla, e negli Stati di Jalisco e Tlaxcala. Successivamente, nello Stato di Chihuahua, i capi anti-rielezionisti locali, Abraham Gonzales e Pascual Orozco, riuscirono a formare un gruppo di guerriglieri a cavallo: alla testa di questi uomini si pose José Doroteo Arango Arámbula, dotato di grande mobilità e perizia nel condurre attacchi di sorpresa, che sarebbe poi divenuto famoso col suo nome di battaglia: Francisco "Pancho" Villa. Il 27 novembre Villa espugnò l’importante centro di Pedernales e proseguì le operazioni impadronendosi di altre località. La rivoluzione poté quindi contare su una larga fascia di territorio liberato: nel febbraio 1911 Madero decise quindi di tornare in Messico, raggiungendo i guerriglieri a Chihuahua. Il rientro di Madero ed i successi di Villa e Orozco diedero nuovo impulso alle forze rivoluzionarie ed in tutti gli Stati messicani sorsero bande di guerriglieri guidate da capi risoluti. Villa operò soprattutto nel nord del Paese, mentre nel sud, nello Stato del Morelos, si distinse per le sue imprese Emiliano Zapata.

 
Francisco Madero (1873-1913).

Nell'aprile del 1911 Madero convocò un Consiglio di Guerra nell’accampamento dell’"Ejercito Libertador" (Esercito di Liberazione) sulle rive del Rio Bravo, di fronte alla città di Juarez: fu deciso l’attacco alla città, che iniziò l’8 maggio. Fra i comandanti dell'azione si distinsero Pascual Orozco, Pancho Villa, José de la Luz Bianco e Giuseppe "Peppino" Garibaldi[60], nipote di Giuseppe Garibaldi e grande amico degli insorti messicani. La città fu espugnata: il mattino del 10 maggio il generale Navarro, comandante la piazza, si arrese e fu salvato a stento dalla fucilazione da Madero nonostante le proteste di Orozco e Villa, che minacciarono d’arresto lo stesso Madero. Contemporaneamente, nel sud del Paese, l’Esercito di Liberazione del Sud di Zapata sconfisse la resistenza federale e conquistò la città di Cuautla.

 
Venustiano Carranza (1859-1920).

Il 21 maggio fu firmata una convenzione tra il rappresentante del governo Diaz, Francisco S. Carvajal, e Madero, le cui clausole principali prevedevano le dimissioni di Diaz e di Corrai (vicepresidente) e la presidenza "ad interim" di un ministro porfirista. Ciò apparve eccessivamente moderato agli oltranzisti rivoluzionari; il più acceso fu Venustiano Carranza, che a nome di tutti dichiarò: «la Rivoluzione che scende a compromessi si suicida!»[61]. Nonostante ciò Madero decise di non consegnare il Paese ai rivoluzionari vittoriosi, ma ad elementi misti, a qualche liberale moderato e ad amici di Diaz; anche il Senato e la Camera rimasero in mano ai sostenitori del dittatore; soprattutto, Madero permise il disarmo dell’"Ejercito Libertador". Ciò diede un duro colpo al processo rivoluzionario, e conservò la natura oligarchica del regime. Dopo le dimissioni di Porfirio Diaz ed un periodo di "interregno" gestito da Francisco Leon de la Barra, Madero fu eletto Presidente della Repubblica, ma il suo governo deluse anche i suoi sostenitori e provocò la sfida e la resistenza di Emiliano Zapata, il quale denunciò in un suo documento (il "Piano di Ayala", che conteneva anche un programma di riforme agrarie che prevedeva l'esproprio delle terre dei latifondisti per darne la proprietà ai contadini e ai cittadini) il tradimento maderista, e rifiutò «transazioni con gli elementi dittatoriali di Porfirio Diaz e di don Francisco I. Madero, poiché la nazione è stanca dei bugiardi e dei traditori che promettono da liberatori ma che saliti al potere, si dimenticano delle promesse e diventano tiranni»[62]. Il 19 febbraio 1913 Madero fu costretto alle dimissioni da un golpe del generale traditore Victoriano Huerta, che prese il suo posto, e il 22 febbraio fu assassinato: incominciò così per il Messico una lunga stagione di instabilità. Venustiano Carranza creò un'alleanza di forze sotto la bandiera costituzionalista, che nel 1914 riuscì a rovesciare Huerta; Carranza divenne il nuovo presidente. Il 1° ottobre 1914 venne convocata la riunione di Aguascalientes, estremo tentativo di creare unità fra i capi rivoluzionari, che fallì. Nell'aprile 1915 l'esercito costituzionalista di Carranza, guidato dal generale Álvaro Obregón, sconfisse le forze di Pancho Villa nella battaglia di Celaya; Carranza consolidò così momentaneamente la sua posizione come presidente del Messico. Nel 1917 venne promulgata la Costituzione messicana. Nel 1919 Emiliano Zapata fu ucciso in un’imboscata. Nel 1920 ci fu una ribellione contro il governo Carranza da parte dei generali Alvaro Obregón (che sarebbe stato assassinato nel '28), Plutarco Elías Calles e Adolfo de la Huerta, nell'ambito del manifesto di Agua Prieta: il 21 maggio Carranza morì assassinato. Nello stesso anno de la Huerta assunse la Presidenza ad interim, e Pancho Villa fu amnistiato: a Villa fu concessa una "hacienda" di 25.000 acri dopo aver concluso la pace con il governo centrale nel giugno 1920, ma tre anni dopo fu assassinato. La situazione messicana iniziò a stabilizzarsi solo a metà degli anni '20, con le vittorie del Partito Laburista nelle elezioni del 1920 e del 1924, per arrivare al consolidamento di un regime post-rivoluzionario nel 1929, con la formazione del Partito Nazionale Rivoluzionario.

La Rivoluzione messicana ebbe successo nella misura in cui riuscì ad abbattere il regime di Porfirio Diaz e a dare al Paese la Costituzione del 1917; e fallì nella misura in cui le istanze più radicali – di ispirazione socialista – propugnate da Villa e Zapata vennero soppresse, a seguito della sconfitta delle forze guerrigliere da loro guidate. I motivi della sconfitta di tali forze furono molteplici.

 
Francisco "Pancho" Villa (1878-1923).

La base delle forze di Pancho Villa fu lo Stato di Chihuahua, caratterizzato da grandi "ranchos" (fattorie) possedute da pochi latifondisti e da una popolazione sradicata che non possedeva alcuna proprietà terriera o immobiliare: bovari, mulattieri, "peones" (braccianti agricoli), girovaghi, banditi, eccetera. Costoro formarono la "Divisione del Nord" di Villa e si rivelarono molto competenti nella guerra di guerriglia, capaci di avanzare, ritirarsi e raggrupparsi con estrema mobilità: nel 1914 la "Divisione del Nord" riuscì a sconfiggere molte volte le forze governative nello Stato di Coahuila, e successivamente a liberare diverse città (anche se tali liberazioni furono di breve durata); nel 1916-17 le forze di Villa riuscirono altresì ad eludere la forza di spedizione statunitense guidata dal generale Pershing inviata in Messico per punire l’incursione di Villa a Columbus, nel Nuovo Messico. L'esercito guerrigliero di Villa contò decine di migliaia di elementi, comprese donne "amazzoni" dette "soldaderas" che frequentemente presero parte ai combattimenti[63]. Tuttavia i "villisti" non avevano interessi acquisiti, non appartenevano a nessuna classe sociale specifica, e di conseguenza non potevano avere alcuna coscienza di classe specifica: non ebbero quindi concrete aspirazioni sociali, né la volontà di creare un nuovo sistema politico-economico-istituzionale per dare una forma concreta alla loro lotta. Per questa ragione i "villisti" non ebbero incentivi a proseguire la lotta dinnanzi a gravi ostacoli, e la mancanza di interessi di classe li rese molto facili alla corruzione. Parecchi luogotenenti di Villa considerarono la guerra un mezzo per l'arricchimento personale: molti dei territori liberati passarono poi nelle mani di costoro, che si comportarono come piccoli "signori della guerra" avversari del radicalismo agrario socialista che avrebbe potuto minare le loro nuove conquiste. Il movimento "villista" dal 1915 incominciò quindi a declinare, e non fu più una forza significativa nella Rivoluzione. A tale declino contribuì lo stesso Villa nel momento in cui decise di abbandonare le tattiche di guerriglia, portando la sua cavalleria a combattere una battaglia convenzionale a Celaya nell’aprile 1915 contro le forze guidate da Alvaro Obregón: la cavalleria "villista" venne falciata dalle mitragliatrici governative protette da trincee e reticolati, e sebbene Villa fu poi in grado di costituire nuove bande, il suo esercito non si risollevò più da tale sconfitta.

 
Emiliano Zapata (1879-1919).

Le forze guerrigliere di Emiliano Zapata furono capaci di combattere molto più a lungo, perché strettamente legate alla popolazione contadina del Morelos: nell'Esercito di Liberazione del Sud militavano molti contadini, e tale esercito si impegnava a lottare non solo contro le forze governative ma anche contro le usurpazioni commesse dai proprietari delle piantagioni di zucchero ai danni dei villaggi e delle terre dei contadini; Zapata impose altresì a tali proprietari il pagamento di una tassa settimanale allo scopo di finanziare l'esercito guerrigliero; oltre a ciò, il già citato programma di riforma agraria di Zapata (il "Piano di Ayala") fu sempre estremamente popolare fra i contadini, motivandoli a combattere per realizzarlo. Il movimento guidato da Zapata ebbe così più consistenza e resistenza rispetto a quello di Villa nel nord, perché gli "zapatisti" appartenevano a una classe sociale ben definita (il proletariato agricolo), si erano dati un obbiettivo preciso (la riforma agraria), ed erano pronti a superare gravi difficoltà per ottenerlo (combattendo duramente nell'esercito di Zapata o donandogli rifornimenti). L'esercito "zapatista" fu il più povero della Rivoluzione, poiché soffrì sempre di una cronica penuria di armi, munizioni, denaro e di rifornimenti in generale, ma fu anche quello che più di tutti utilizzò una tipica strategia di guerriglia: rubare le armi al nemico. A riguardo Zapata dichiarò: «noi non abbiamo mendicato dall’esterno né una pallottola, né un fucile, né un peso; abbiamo catturato tutto al nemico»[64]. Ogni volta che le forze governative attaccavano massicciamente gli "zapatisti", come nel 1913 e nel 1916, essi si dividevano in piccoli gruppi per poi riunirsi in zone limitrofe pre-concordate: le truppe governative occupavano così città e villaggi, ma poco dopo erano costrette a ritirarsi a causa di gravi perdite dovute alla malaria, alla dissenteria e alle continue imboscate. Inoltre Zapata, diversamente da Villa, non concentrò mai le sue truppe e fu sempre restio a combattere in campo aperto: solo quando si trattò di assediare e occupare città come Cuernavaca, Puebla e Città del Messico egli riunì grosse forze. Tuttavia anche l'esercito di Zapata aveva i suoi problemi: esso non era un corpo centralizzato, ma consisteva di moltissime unità l’organico delle quali oscillava da qualche dozzina a parecchie centinaia di uomini, che agivano quasi sempre con troppa indipendenza; la composizione delle unità cambiava continuamente, perché i contadini-guerriglieri lasciavano i loro reparti per andare a lavorare nei campi durante le stagioni agricole; gli ufficiali erano poco efficienti; vi era dunque molto entusiasmo rivoluzionario, ma poca disciplina. A questi problemi si sommarono le brutali campagne contro-insurrezionali governative (Zapata iniziò le operazioni nel 1911 e benché sostenitore di Madero, le sue richieste e la sua crescente influenza nel suo Stato lo resero inviso ai generali attorno al Presidente ed in particolare a Victoriano Huerta, e perciò alla fine dell’anno fu dichiarato fuorilegge). A partire dal 1912 il generale Juvencio Robles iniziò operazioni di incendio di villaggi e deportazione della popolazione, che venne internata in campi di concentramento[65] costruiti nei sobborghi delle città maggiori. Il generale Huerta suggerì che era consigliabile deportare dai 15 ai 20.000 lavoratori dal Morelos: Robles diede l’avvio a questa operazione e decretò che tutti gli abitanti dei villaggi, fattorie e piccoli agglomerati di case dovevano "riconcentrarsi" nelle grandi città; i villaggi sospettati di aiutare gli "zapatisti" furono rasi al suolo. Nel 1916, Pablo Gonzales proseguì questa politica. Nel novembre 1916 le forze governative passarono al terrorismo diretto: fu decretata la pena di morte sommaria per chiunque avesse fornito supporto allo zapatismo anche semplicemente identificandosi con esso, per chiunque sorpreso senza lasciapassare, per chiunque non risiedesse nella città prestabilita e per chiunque avesse dato il suo lasciapassare ad un'altra persona. Questi metodi repressivi e la campagna militare in forze del 1918-19 segnarono la fine della guerriglia di Zapata: dopo aver perduto il controllo di tutte le città e con sempre minor supporto, il capo rivoluzionario fu ucciso a tradimento in un’imboscata.

Durante le Guerre Mondiali (1914-1945)

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Durante la Guerra Fredda (1945-1990)

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Dal 1990 a oggi

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Descrizione

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Lo scopo della guerriglia è quello di logorare le forze nemiche, di abbassarne il morale esponendole a rischi continui, obbligandole a consumare mezzi e risorse inutilmente e vanificando i loro sforzi bellici. Mao Tse-tung, grande esperto di questa forma di guerra, parlava della guerriglia come "l'arte di fiaccare il nemico con mille piccole punture di spillo".

Nel campo tattico la guerriglia non si manifesta con azioni di massa, neanche quando ambiente e circostanze particolari favoriscono il concentramento di numerose unità, ma è sempre una lotta episodica, che può aumentare di intensità e in estensione, ma non evadere dal ristretto campo dell'azione minuta contro obiettivi limitati e poco robusti. Può manifestarsi durante un conflitto armato fra due o più belligeranti e in tal caso si svolge di preferenza lontano dalle linee del fronte, ma nelle zone occupate dagli eserciti operanti, immediatamente alle spalle o sulle linee di comunicazione di uno degli avversari oppure, meno spesso, in zone lontane: quasi sempre, però, nei territori che sono stati occupati nel corso delle operazioni di guerra o che sono contesi.

Per condurre con successo una guerra di guerriglia sono necessari alcuni requisiti fondamentali:

  • Una rete di comunicazione, comando, controllo e informazione (C3I) sviluppata, adattabile e flessibile. Con la dispersione e il maggior numero di unità aumenta progressivamente la necessità di comunicazioni fra di esse e con i loro comandi. In più aumenta anche la difficoltà delle comunicazioni stesse, che in genere non possono contare su una rete efficiente e sicura.
  • Comandanti di unità dotati di ampia autonomia decisionale. La guerriglia non può fermarsi mai (vedi più avanti): non è possibile tenere un esercito guerrigliero fermo ad aspettare, ma è necessario tenerlo costantemente in attività. Poiché gli obiettivi militari della guerriglia sono piccoli e molto numerosi, la pianificazione centralizzata dell'attività bellica non è applicabile: è piuttosto necessario limitarsi a formulare linee d'azione generali e lasciare che siano i singoli comandanti a decidere come metterle in pratica, in base alle loro possibilità e disponibilità.
  • Operare in un territorio che permetta alle proprie unità di nascondersi e di sfuggire alla ricerca nemica; come nella guerra partigiana, montagne e foreste si prestano ottimamente, come anche, in modo diverso, le città. Molto meno adatte invece sono le zone prive di ripari naturali: pianure intensamente coltivate, zone costiere o desertiche, steppe e praterie.
  • L'appoggio della popolazione locale. Gli abitanti di una regione si accorgono immediatamente della presenza di forze armate estranee, perciò è impossibile nascondersi senza la loro diretta acquiescenza. Notare che è necessario che la popolazione locale sia attivamente a favore della forza guerrigliera: la semplice neutralità o non belligeranza non impedirebbe ai delatori, sempre presenti, di informare il nemico. Inoltre avere delle forze armate tanto disperse rende a dir poco problematico il rifornire le truppe, che quindi devono necessariamente dipendere in parte da rifornimenti locali, che di nuovo è impossibile ottenere senza l'appoggio popolare.
  • Truppe fortemente motivate e/o con morale alto; la scarsa coesione delle forze guerrigliere, disperse e nascoste, le rende vulnerabili alle diserzioni o a degenerare in bande armate, con fenomeni di brigantaggio, contrabbando, mercenarismo. Per evitare queste derive è necessario che gli uomini siano intimamente convinti che i loro sforzi e le privazioni che affrontano sono utili e necessari. Questo implica una propaganda costante e dei periodi di inattività il più possibile brevi fra un'azione militare e l'altra.
  • Un armamento leggero e facilmente trasportabile. Sono escluse dalla guerra di guerriglia le artiglierie pesanti, i mezzi corazzati e l'aviazione: la guerriglia è un'attività essenzialmente di fanteria, supportata al massimo da mortai e artiglieria leggera.

Può manifestarsi in tempo di pace e in tale caso si svolge dove condizioni ambientali e motivi ideologici ne favoriscono lo sviluppo. A preferenza nelle zone di confine, ove più direttamente e più efficacemente può alimentarla l'aiuto esterno.

Organizzazione

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Perché la guerriglia possa raggiungere i risultati che si propone, deve essere accuratamente organizzata.

Anche se il movimento di resistenza non è sorto per iniziative sporadiche e slegate, sia pure concorrenti allo stesso fine, e le sue basi sono state gettate in precedenza, si tratta pur sempre di un fenomeno che affonda le sue radici nel sentimento popolare; le cui manifestazioni, ora spontanee ora provocate, indubbiamente risentono delle divergenze di pensiero, di giudizi, di criteri, di tendenze che caratterizzano nei tempi moderni la vita di una nazione, specie se politicamente progredita e socialmente irrequieta.

Gli sforzi iniziali perciò tendono a:

  • eliminare incomprensioni, fondere le varie correnti, risolvere i contrasti;
  • consolidare gli organismi sani e regolarizzarne su basi di onestà e di giustizia la solidarietà con la popolazione civile;
  • evitare insorgenza e sviluppo di formazioni feudali o monopolistiche;
  • passare gradualmente dal piano dell'improvvisazione a quello della organizzazione su base militare (una disciplina, una bandiera), adattando a poco a poco alla guerriglia tutti i principi che regolano la condotta delle normali operazioni di guerra (addestramento, servizi, collegamenti, norme tattiche d'impiego, ecc.), senza però creare organismi e vincoli ingombranti e per conseguenza dannosi;
  • raggruppare le varie formazioni in dipendenza della necessità della lotta (tattica e geografia), evitando di secondare finalità politiche e organizzative che spesso vi contrastano e avvicinando il più possibile le unità guerrigliere a quelle minori dell'esercito regolare, unico mezzo per potenziarne capacità ed efficienza bellica;
  • unificare il comando non solo al centro ma anche alla periferia, con la creazione di organismi gerarchici idonei a risolvere in maniera unitaria i problemi operativi, organizzativi e logistici: unico modo per evitare fazioni e dare al movimento carattere nazionale e di legalità;
  • fare coincidere con la lotta armata dei guerriglieri l'opera attiva e passiva, non meno sabotatrice, della popolazione nelle città e nelle campagne;
  • fare seguire all'opera formativa delle unità quella organizzativa del territorio, accordandosi con gli esponenti locali, epurandoli dagli elementi notoriamente infidi, stabilendovi comitati di controllo, centri informazioni, nuclei armati a difesa delle popolazioni contro violenze e soprusi e assicurandovi nuove fonti di rifornimento;
  • estendere sempre più il movimento, ampliando parallelamente zone sotto il controllo guerrigliero.

Ne deriva che, lì dove la guerriglia non è soltanto un'operazione a carattere bellico, si tende sempre ad accentrare in una sola persona la direzione politica e il comando militare. Dove ciò non è possibile sorgono allora Comitati che si sforzano di raggiungere il necessario coordinamento.

Fini e scopi

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La guerriglia non è mai fine a se stessa, ma è sempre un espediente o un ripiego temporaneo: se la guerriglia è la forma principale di attività bellica per una delle due parti in conflitto, il suo fine è sempre di prendere tempo per acquisire la capacità militare necessaria per dare battaglia in campo aperto, oppure di aumentare tanto il costo delle operazioni militari del nemico da indurlo a desistere dal conflitto. In tempi di guerra: le operazioni di un esercito (il proprio o l'alleato) che attende la battaglia decisiva per la soluzione del conflitto. In tempi di pace: l'azione politica - interna o esterna - che dovrà portare all'insurrezione generale o all'intervento armato straniero, per la conquista del potere o per il diverso assetto dei territori contesi.

Collegata a normali operazioni di guerra, ha lo scopo di:

  • ostacolare l'attività dell'avversario, tenendolo costantemente in allarme e infliggendogli continue perdite negli uomini e nei mezzi;
  • costringere il nemico a grandi e reiterati spiegamenti di forze, che sono così sottratte alle operazioni sulla fronte e logorate per effetto dei continui spostamenti;
  • creare al nemico le più difficili condizioni di vita su un determinato territorio, costringendolo ad abbandonarlo o quanto meno a rinchiudersi nei grandi centri e a rinunciare al conseguimento (in tutto o in parte) dei suoi obiettivi: sfruttamento economico del Paese, annessione o colonizzazione, creazione di basi logistiche per alimentare operazioni belliche in corso, eccetera;
  • procacciarsi il maggior numero possibile di informazioni per trasmetterle al comando dell'esercito amico;
  • partecipare alle operazioni di quest'ultimo con azione diretta sul tergo del comune avversario o sul suo sistema operativo e logistico.

Organizzata in tempo di pace o in previsione di un prossimo conflitto in determinate zone di territorio nazionale o coloniale, preferibilmente di confine, con il concorso di elementi locali, la guerriglia può tendere a:

  • logorare l'organizzazione civile e militare esistente;
  • creare una situazione locale atta a giustificare l'intervento armato dello straniero;
  • agevolare la penetrazione delle forze di quest'ultimo;
  • condurre con il concorso di circostanze favorevoli - indirettamente ma praticamente - alla perdita dei territori considerati.

Organizzata, in pace o in guerra, per provocare la caduta di un determinato regime politico o la sostituzione di questo con un altro - portata cioè sul piano della "guerra civile" - la guerriglia può prefiggersi di:

  • minare il morale delle forze regolari, arrecando a esse continua molestia e infliggendo ripetuti scacchi;
  • ledere il prestigio del governo, sottraendo alla sua autorità e al controllo delle sue forze armate zone sempre più vaste di territorio nazionale, in modo da potervi costituire un governo di parte, che serva a legalizzare la guerriglia e a darle un carattere nazionale;
  • trasformare a poco a poco l'azione isolata ed episodica in vere e proprie operazioni di guerra, dando vita a un esercito di insorti da contrapporre a quello regolare;
  • condurre contro forze straniere, eventualmente intervenute a sostegno del governo legittimo, una lotta spietata e implacabile sì da rendere loro impossibile la vita o, perlomeno, tenerle in soggezione;
  • estendere e approfondire sempre più il movimento in tutto il territorio nazionale e in tutti gli strati della popolazione, in modo da accelerare il processo di disintegrazione delle forze e dei poteri governativi;
  • guadagnare il favore delle masse, sempre disposte a tollerare il più forte e in ultima analisi a proteggerlo e a seguirlo;
  • provocare, preparare e condurre l'insurrezione generale.

Quali che possano essere gli scopi della guerriglia e le circostanze e l'ambiente in cui essa si svolge, le azioni veramente efficaci sono quelle coordinate tra loro e con l'attività operativa o politica di un esercito o di una nazione amica. Per cui gli sforzi degli organizzatori tendono sempre a:

  • realizzare un comando unico di tutte le forze partecipanti alla guerriglia;
  • mantenere uno stretto e costante collegamento fra il comando di queste e quello dell'esercito amico.

Ciò nonostante, la guerriglia ha scarse probabilità di successo se perde il consenso delle popolazioni in mezzo alle quali deve operare. Particolare cura è posta da parte di tutti i guerriglieri - capi e gregari - specie quando sono costretti ad agire in zone diverse dalle loro basi, a non alienarsi la simpatia e l'appoggio delle popolazioni locali, con manifestazioni di intolleranza, prepotenza e disonestà. Più che dalle armi del nemico la guerriglia potrebbe essere stroncata dalla diffidenza e dalla ostilità delle popolazioni; le quali, dopo tutto, sono proprio quelle che sopportano di questo genere di guerra i danni maggiori. Su di esse il nemico, costretto a sospettare di tutti, reagisce quasi sempre indiscriminatamente.

Allorché la guerriglia crede di potere fare a meno del favore delle popolazioni, essa può vincerne l'ostilità soltanto con il terrore e lo sterminio. Si entra quindi nel caso della "guerra civile", condotta da stranieri o da traditori al soldo dello straniero, costretti ad agire allo scoperto. Il che può rendere più agevole il compito delle truppe regolari impegnate nella controguerriglia.

La guerriglia deve inoltre operare con scopi precisi, concentrando le azioni su obiettivi redditizi e importanti, evitando atti di scarso interesse. Ciò richiede la conoscenza perfetta dell'ambiente, presupposto quindi in ogni attività guerrigliera è il funzionamento di un accurato servizio informazioni.

Legami con il terrorismo

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Spesso giornali e mezzi di informazione confondono questi due fenomeni, in sé molto diversi. La guerriglia è diretta innanzitutto contro obiettivi militari: installazioni, strutture, depositi, presidi, vie di rifornimento, forze isolate e vulnerabili. Il terrorismo invece non ha un obiettivo tattico immediato, ma si limita a colpire a caso cercando specificamente di uccidere e ferire quanti più civili possibile, per indurre un clima di insicurezza e portare la popolazione in uno stato di malcontento tale da essere disposta ad accettare misure drastiche pur di porre fine a tale stato di cose.

Nelle città la guerriglia prende spesso di mira obiettivi (alti ufficiali e funzionari, caserme, uffici, circoli, sabotaggio di industrie e infrastrutture) che la portano ad azioni non dissimili da quelle terroristiche e che spesso provocano vittime anche fra civili. La differenza con il terrorismo in questi casi diventa più sfumata e si possono verificare casi di contiguità fra terroristi e forze guerrigliere. Anche in questo caso però le azioni di guerriglia restano dirette verso obiettivi precisi e ben definiti, la cui eliminazione è funzionale alla sconfitta finale del nemico; le azioni terroristiche invece prendono di mira per lo più obiettivi simbolici (o date storiche, oppure anniversari e ricorrenze) e colpiscono in modo da creare il massimo allarme e la massima sensazione possibile, generalmente con un gesto crudele e militarmente insensato.

Fondamenti dell'azione

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L'intensità della guerriglia non è mai costante. Essa fa seguire a periodi di attività, periodi di attesa e di preparazione.

I periodi di attesa sono nella maggior parte dei casi imposti da condizioni climatiche avverse oppure, durante un conflitto, da necessità strategiche, per le quali il comando dell'esercito amico può ordinare la sospensione della guerriglia in tutto il territorio interessato o in una parte limitata di esso.

La preparazione è necessaria specie quando da un'organizzazione embrionale, quale può essere quella che caratterizza il movimento spontaneo della popolazione di un Paese occupato, si debba passare alla creazione di formazioni consistenti, non solo atte a rappresentare un peso notevole nella lotta ingaggiata, ma anche necessarie a evitare lo sfasciamento delle unità e la dispersione di energie insufficientemente convogliate e sfruttate.

Attese e preparazioni, però non possono essere lunghe. Il peggior nemico della guerriglia è il tempo. Stasi lunghe sono fonte di dubbi, scoraggiamenti, stanchezze, defezioni; che per essere combattuti hanno bisogno di un'azione di propaganda continua, insistente, appropriata. E nei periodi di attesa le forze della guerriglia non possono smobilitare.

La guerriglia giustifica la sua esistenza con la continuità delle sue azioni. Se la sua attività si arresta, essa ha finito di esistere; tutto il lavoro compiuto è disperso e grandi diventano per l'avversario le probabilità di averne completamente ragione.

I guerriglieri, d'altro canto, non possono deporre le armi sia pure con l'intenzione di radunarsi in tempi migliori e combattere ancora. A casa, li attenderebbe, con molta probabilità, l'arresto e la morte. Ma talvolta l'attesa è inevitabile, specie in montagna ove può essere imposta da sole ragioni climatiche.

Se la montagna è abitata, le formazioni si diluiscono su larghi spazi, ottenendo o imponendo l'ospitalità presso le popolazioni, cercando di mantenere il più che sia possibile i vincoli organici delle minori unità.

Se la montagna non offre alcuna possibilità di alloggiamento e di vita, s'impone il dilemma del trasferimento altrove delle formazioni (sempre che sia possibile) o lo scioglimento temporaneo di queste ultime.

Il trasferimento di zona, quando è possibile, non è sempre conveniente soprattutto perché viene a mancare l'intima collaborazione e la profonda solidarietà che devono esistere fra le forze della guerriglia e le popolazioni locali.

Lo scioglimento temporaneo delle unità è una soluzione alla quale gli organizzatori della guerriglia ricorrono in casi estremi, poiché essa richiede molte provvidenze per mantenere inalterata nei guerriglieri la volontà di combattere e per sostenerne l'esistenza nei casi di particolare disagio economico. Il problema dell'accantonamento e della conservazione delle armi non è semplice, data la difficoltà di costituire depositi presso i civili (timori di rappresaglie, delazioni) e l'indubbio parallelo intensificarsi dell'azione persuasiva e repressiva da parte delle forze regolari o occupanti.

In campagna e in città l'unità organica delle formazioni può essere mantenuta con un maggiore disseminamento e una più accurata mimetizzazione di queste fra le popolazioni locali; è sempre esclusa l'idea di stabilirsi a forze riunite in località da apprestare a difesa (sorta di "isole difensive") essendo questa soluzione deleteria ai fini del movimento di resistenza. I guerriglieri non sono fatti per difendersi: essi sarebbero certamente schiacciati.

Contrariamente alle normali operazioni di guerra, nelle quali i belligeranti avanzano lungo determinate direttrici strategiche e tattiche, la guerriglia conquista a sé nuovi territori e nuovi adepti espandendosi come una macchia d'olio. Ciò per la naturale tendenza che hanno le bande ad allargare sempre il loro campo d'azione, cercando sicurezza e protezione nello spazio, e per la naturale simpatia che essa provoca nelle popolazioni che avvicina, specie quando il movente ideale che la sospinge è intensamente sentito.

Ambienti operativi

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La guerriglia può svolgersi in qualunque ambiente geografico. Tuttavia l'ambiente ideale è quello che:

  • offre sicuro asilo e sufficienti risorse alle unità che la svolgono;
  • permette di beneficiare del favore delle popolazioni tra le quali può scegliere con facilità gli elementi adatti - per particolare mentalità e attitudini - a rinforzare le sue file;
  • consente di sviluppare moventi ideologici e correnti tradizionali di ostilità locali verso le forze occupanti o le autorità governative;
  • favorisce le azioni delle piccole unità guerrigliere, ostacolando nel contempo, per insufficienza di strade e di risorse, la vita, il movimento e la manovra di grosse unità avversarie, specie le motorizzate;
  • consente di usufruire di una buona copertura all'osservazione aerea;
  • rende gravosa, per deficiente rete di comunicazioni e vastità di territorio, I'alimentazione delle forze nemiche.

Ciò impone un adeguato funzionamento di comandi, collegamenti, mezzi di trasporto, ecc., che solo un'accurata organizzazione centrale e periferica, tecnicamente perfetta, può consentire. Impone inoltre la presenza di comandanti minori idonei e un affiatamento perfetto con la popolazione locale. In città e nelle zone densamente popolate la guerriglia cambia totalmente di fisionomia; essa perde la sua caratteristica operativa per limitare la sua azione al ristretto campo dell'attentato e del sabotaggio.

Conflitti di guerriglia

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Bibliografia

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