Iliade (Monti)/Libro XVIII: differenze tra le versioni
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Riga 24:
Tutta così qual fiamma arde la pugna.
Veloce messaggier correa frattanto
Antìloco ad Achille. Anzi
sue navi il trova, che nel cor già volge
della
Perché di nuovo, ohimè! verso le navi
fuggon gli Achivi con tumulto, e vanno
spaventati pel campo? Ah! non mi cómpia
che un dì la madre profetò, narrando
che, me vivente ancor,
il più prode guerrier dai Teucri ucciso
del Sol la luce abbandonato avrìa.
Ah! certo di Menèzio il forte figlio{{R|15}}
morì. Infelice! E pur
che risospinta la nemica fiamma
ritornasse alle navi, e con Ettorre
cimentarsi in battaglia oso non fosse.
In questo rio pensier
di Nestore piangendo, e, Ohimè! gli disse,
magnanimo Pelìde; una novella
Riga 47:
oh piacesse agli Dei! Giace Patròclo;
sul cadavere nudo si combatte;{{R|25}}
nudo; ché
Una negra a
nube di duol; con ambedue le pugna
la cenere afferrò, giù per la testa
Riga 56:
giacea turbando colle man le chiome
e stracciandole a ciocche. Al suo lamento
accorsero
si fêr dintorno al bellicoso eroe
percotendosi il seno, e ciascheduna
sentìa mancarsi le ginocchia e il core.
lagrimando dirotto, e di cordoglio
spezzato il petto rattenea
le terribili mani, onde col ferro
non si squarciasse per furor la gola.
Udì del figlio
la veneranda Teti che del mare
sedea
Mise un gemito, e tutte a lei dintorno
si raccolser le Dee, quante ne serra
Riga 81:
Callïanìra e Dori e Panopea,
e sovra tutte Galatea famosa;
Callïanassa ed Ïanassa; alfine
ed Amatea
Nerëidi
Tutto di lor fu pieno in un momento{{R|65}}
il cristallino speco, e tutte insieme
batteansi il petto, allorché Teti in mezzo
tal diè principio al lamentar: Sorelle,
Ohimè misera! ohimè madre infelice{{R|70}}
di fortissima prole! Io generai
Riga 96:
il più prestante degli eroi: lo crebbi,
lo coltivai siccome pianta eletta
in fertile terren: poscia
a pugnar
reggia! e
fin che gli è dato di fruir la luce,{{R|80}}
di tristezza si pasce; ed io, comunque
a lui mi rechi, sovvenir nol posso.
Nondimeno
vedrò
dalla guerra lontano il cor
Uscì, ciò detto, dallo speco, e quelle
piangendo la seguîr:
riverente
attinsero le rive, in lunga fila
emersero sul lido ove frequenti{{R|90}}
Riga 115:
facean selva e corona al grande Achille.
A lui che in gravi si struggea sospiri
la diva madre
in acuti ululati, ed abbracciando{{R|95}}
Figlio, che piangi? Che dolore è questo?
Nol mi celar, deh parla. A compimento
Riga 130:
se Pàtroclo è già spento? Io lo pregiava
sovra tutti i compagni; io di me stesso
al par
di quelle grandi e belle armi, a vedersi
maravigliose, che gli eterni Dei,
dono illustre, a Pelèo diero quel giorno
che te nel letto
Oh fossi tu
fra le divine abitatrici, e stretto
Pelèo si fosse a una mortal consorte!
Ché
or non avresti pel morir
che alle tue braccia nel paterno tetto{{R|120}}
non tornerà più mai, poiché il dolore
né la vita né
la presenza soffrir, se prima Ettorre
dalla mia lancia non cade trafitto,
Riga 149:
Figlio, nol dir (riprese lagrimando
la Dea), non dirlo, ché tua morte affretti:
dopo quello
Lo sia (con forte gemito interruppe
se giovar mi fu tolto il morto amico.
Ahi che lontano dalla patria terra
Riga 159:
di Ftia le care arene, ed io crudele
né Pàtroclo aitai né gli altri amici
ma qui presso le navi inutil peso
della terra mi seggo, io fra gli Achei{{R|140}}
nel travaglio
benché me di parole altri pur vinca,
pera nel cor
la discordia fatal, pera lo sdegno
che dolce più che miel le valorose
anime investe come fumo e cresce.
Tal si fu
Agamennón. Ma su
benché ne frema il cor,
e
Del caro capo
or si corra a trovar; poi quando a Giove
e agli altri Eterni piacerà mia morte,
venga pur,
dilettissimo a Giove e suo gran figlio,
Alcide stesso vi soggiacque, domo
dalla Parca e
Così pur io, se fato ugual
estinto giacerò. Questo frattanto{{R|160}}
tempo è di gloria. Sforzerò qualcuna
Riga 187:
giù per le guance delicate il pianto,
e a trar dal largo petto alti sospiri.{{R|165}}
Sappiano alfin che il braccio mio
abbastanza cessò; né dalla pugna
tu, madre, mi svïar, ché indarno il tenti.
E a lui la Diva
Giusta, o figlio, è
campar da scempio i travagliati amici.
Ma le tue scintillanti armi divine
son
e
lo spero, il suo gioir, ché negra al fianco
già
per anco non entrar nel rio tumulto,
se tu qua pria venir non mi riveggia.
Riga 206:
Così detto, dal figlio alle sorelle
ripiegò la persona, e, Voi, soggiunse,
rïentrate del mar
e del marino genitor canuto
rendetevi alle case, e tutto dite
che vedeste ed udiste. Al grande Olimpo
io salgo a ritrovar
Vulcano, e il pregherò che luminose{{R|190}}
armi stupende al figlio mio conceda.
Disse; e quelle del mar tosto
discesero, e la Dea dal piè
avvïossi
al diletto figliuolo armi divine.{{R|195}}
dal sanguinoso Ettòr cacciati in fuga
giunser gli Achivi delle navi al vallo
Riga 223:
del compagno achillèo la morta spoglia{{R|200}}
al nembo degli strali avean sottratta
gli argolici guerrieri.
fiero assalto le dava una gran serra
di cavalli e di fanti, e innanzi a tutti
di Prìamo il figlio,
che una fiamma parea. Tre volte il prode
per gli piedi il cadavere afferrando
Riga 234:
respinserlo dal morto. E nondimeno
saldo e securo in sua fortezza or dentro
nella turba ei
e con gran voce tuttavia pur grida,
né
vigilanti pastori alla campagna
da preso tauro allontanar non ponno
affamato lïon; così
Aiaci la virtù da
dispiccar non potea
E
immensa gloria,
a Giove occulta e a ogni altro iddio,
Olimpo non correa col vento al piede
messaggiera ad Achille; e la spedìa,{{R|225}}
per eccitarlo alla battaglia, il cenno
improvvisa la Diva, e questi accenti
terribile guerriero, e di Patròclo{{R|230}}
il cadavere salva. Intorno a lui
Riga 256:
con mutue stragi. In sua difesa i Greci
fan che puossi: per trarlo in Ilio i Teucri
innanzi a tutti di rapirlo agogna,
bramoso di mozzar dal dilicato
collo il bel capo, e
conficcarlo alla cima. Alzati, e pigro
più non giacer. Ti tocchi il cor vergogna{{R|240}}
che
debba le sanne trastullar. Se offesa
ne riceve la salma, è tuo lo smacco.
Rispose Achille: E quale a me
ti manda ambasciatrice, Iri divina?{{R|245}}
Mi manda, replicò la Dea veloce,
Giunon, di Giove glorïosa moglie,
né Giove il sa, né verun altro iddio
Come al campo
se in mano di color venner le mie
armi: e che
la cara madre, se lei pria non veggio
da Vulcano tornar, come promise,
Riga 279:
Di qual altra famosa or mi vestire
al bisogno non so, tranne lo scudo
Ma pur egli, mi spero, in questo punto
sta combattendo pel mio spento amico.{{R|260}}
E a lui di nuovo la taumànzia figlia:
Noto è ben anco a noi che le tue belle
armi or sono
anco inerme ti mostra
Lascerà spaventato la battaglia{{R|265}}
solo al vederti, e respirar potranno
Riga 292:
Così disse, e disparve. In piedi allora
rizzossi Achille amor di Giove, e tutto{{R|270}}
ed una fiamma dalla nube uscìa,
che dintorno accendea
Siccome quando al ciel
cinge il nemico: con orrendo marte
combattono dal muro i cittadini
Riga 306:
se per sorte venir con pronte antenne
volessero in aita: a questo modo
dalla testa
quella fiamma salìa. Varcato il muro,
sul primo margo
né mischiossi agli Achei, ché della madre
al precetto obbedìa. Lì stando, un grido
mise, e
eco Minerva, ed un terror
immenso suscitò. Come sonoro
quando
armi grida terribile il nemico,{{R|295}}
così chiara
tremaro i petti; si rizzâr sul collo
ai destrieri le chiome, e
presaghi addietro rivolgean le bighe.{{R|300}}
Gli aurighi sbigottîr, vista la fiamma
Riga 328:
dalla fossa gridò: tre volte i Teucri{{R|305}}
e i collegati sgominârsi, e dodici
trafitti vi perîr dal proprio ferro.
Pronti intanto gli Achei di sotto ai densi
strali sottratto di Menèzio il figlio,{{R|310}}
il locâr nella bara, e gli fêr cerchio
lagrimando i compagni.
nel feretro mirando il fido amico
Egli stesso con carri, armi e destrieri
lo rïebbe al ritorno e sanguinoso.
Costrinse allor la veneranda Giuno
suo malgrado a calar nelle correnti{{R|320}}
dell’Oceàno l’instancabil Sole.
Ei si sommerse, e dal crudel conflitto
ebber tregua gli Achei. Dier posa
di rincontro i Troiani; i corridori
sciolser dai cocchi, e pria che a cibo alcuno{{R|325}}
Riga 350:
Ritti in piedi aprîr essi il parlamento;
né verun di sedersi ebbe fidanza,
perché
facea loro tremar le vene e i polsi,{{R|330}}
ché da lunga stagion
campi di Marte non
Prese tra lor Polidamante il primo
a ragionar. Di Panto era costui
prudente figlio, e
che le passate e le future cose
al guardo avea presenti. Egli
era compagno, e una medesma notte
li produsse ambedue,
con saggio avviso così tolse a dire:
Librate, amici, la bisogna; ir dentro
alla cittade, e tosto, è mio consiglio,
qui dalle mura. Finché
arse a questo guerrier contra
più lieve
ed io pure vegliar godea le notti
presso le navi, nella dolce speme{{R|350}}
contenersi nel campo ove
col troiano valore in generose
prove la gloria marzïal divise:{{R|355}}
Riga 380:
ne sforzerà. Nella cittade adunque
ripariamo, e si segua il mio sentire,
ché le cose avverran
tien
certo talun conoscerallo, e quanti
dar potranno le spalle, e dentro il sacro
Ilio camparsi, si terran beati;{{R|365}}
ma pria ben molti rimarran pastura
di voraci avoltoi. Deh
sì rio caso giammai! Se al mio ricordo,
benché non grato, obbedirem, la notte
spenderem
E le torri e le porte e i contrafforti
faran sicura la città. Poi tutti
starem su i merli. E
verrà nosco a pugnar sotto le mura,
duro affar troveravvi, e poiché stanca
in vane giravolte avrà la foga
forza alle navi ritornar confuso;{{R|380}}
né di scagliarsi dentro alla cittade
Riga 407:
Qui tacque; e bieco gli rispose Ettorre:
Tu non mi fai gradevole proposta,{{R|385}}
Polidamante, no, quando
a serrarci di nuovo entro le mura.
E non vi noia ancor di quelle torri
Riga 415:
la città prïameia. Or dalle case
dileguârsi i tesori. Alle contrade
molta ricchezza ne passò venduta{{R|395}}
da che
Ed or che Giove innanzi a questi legni
che al mar chiudessi le falangi achee,
non far palese, o stolto, ai cittadini{{R|400}}
Riga 428:
al suo posto ciascuno, e vi sovvegna{{R|405}}
delle scolte per tutto e delle ronde.
Qualunque
di sue ricchezze, le raguni, e poscia
largo ai soldati le spartisca. E meglio
che alcun nostro ne goda, e non
assalirem le navi: e se il divino
Achille
gli fia la pugna, se la vuol, funesta.
Non fuggirollo io, no,
ballo di Marte, ma starogli a fronte
con intrepido petto. Uno
il cimento è comune, ed avvien spesso
che morte incontra chi di darla ha speme.{{R|420}}
Disse, e i Teucri levâr
Stolti! ché Palla avea lor tolto il senno.
Tutti assentîr
nessuno al saggio del figliuol di Panto.
Mentre col cibo a rivocar le forze{{R|425}}
intendono i Troiani, in alti lai
sovra il morto Patròclo, e prorompea
fra loro in pianti sospirosi Achille,
la man tremenda sul gelato petto{{R|430}}
i gemiti mettea, come talvolta
ben chiomato lïone a cui rapìo
il cacciator nel bosco i lïoncini.
Crucciato il fiero del suo tardo arrivo,{{R|435}}
tutta scorre la valle, e
del predator, se mai di ritrovarlo
in qualche lato gli rïesca; e orrenda
gli divampa nel cor la rabbia e
tal si cruccia il Pelìde, e con profondi{{R|440}}
sospiri in mezzo ai Mirmidóni esclama:
Oh mie vane parole il dì
a Menèzio il conforto, e la promessa
che in Opunta gli avrei carco di gloria
e di gran preda ricondotto il figlio{{R|445}}
Giove i disegni
Sotto Troia il destino ambo ne danna
a far vermiglia una medesma terra,
Riga 477:
dopo te, mio fedel, scender sotterra,
tu, no, sul rogo non andrai, lo giuro,{{R|455}}
se non
del tuo crudo uccisor
e dodici
troncheronne davanti alla tua pira.
Giaci intanto così, caro compagno,{{R|460}}
Riga 489:
quando noi colla forza e colle lunghe
aste domando le nemiche genti
Ciò detto, comandò
che dai compagni al fuoco si ponesse{{R|470}}
sul tripode un gran vaso, onde veloci
Riga 496:
tabe. E quelli sul fuoco in un baleno
atto ai lavacri collocaro un bronzo,
e
rami di sotto alimentâr la fiamma.
Abbracciavan le vampe mormorando
del vaso il ventre, e rotto in sottil fumo
scaldavasi
rame la linfa al suo bollor pervenne,{{R|480}}
diersi il corpo a lavar:
felice oliva, e le ferite empiero
di balsamo novenne. Indi al funèbre
Riga 513:
si volse e disse: Veneranda Giuno,{{R|490}}
ecco pieni alla fine i tuoi desiri;
ecco
Di te nacque,
tremendo figlio di Saturno?
povero
il dannaggio tramar del suo simile;
ed io che incedo degli Dei reina,
perché saturnia prole e perché sposa
son
contra i Troiani
macchinar qualche offesa io non dovea?
Mentre seguìan tra lor queste contese,
Riga 530:
Vulcan costrutti di massiccio bronzo.
Tutto in sudor trovollo affaccendato
dieci tripodi e dieci, adornamento{{R|510}}
di palagio regal. Sopposte a tutti
da sé ciascuno
e da sé ne tornasse onde si tolse:
maraviglia a vederli! Omai compiuto{{R|515}}
e appunto
Mentre venìa tai cose elaborando
con egregio artificio, entro la soglia{{R|520}}
La vide, e le si
ornata il capo
per man la strinse, e il roseo labbro aprendo,{{R|525}}
Qual, le disse, cagione, o bella Teti,
Riga 551:
Rado suoli onorarle, e nondimeno
sempre cara vi giungi e riverita.
Inóltrati,
le vivande ospitali. - E sì dicendo,
la bellissima Dea
e in un bel seggio collocolla, ornato
col suo sgabello al piede. Indi a chiamarne{{R|535}}
corse
Vieni, Vulcan, ché ti vuol Teti. - Ed egli:
Venerevole Diva e
nella casa mi venne. Ella malconcio
e afflitto mi salvò quando dal cielo{{R|540}}
mi feo gittar
che il distorto mio piè volea celato;
e mille allor
se me del mar non raccogliean nel grembo
del rifluente Ocèano la figlia{{R|545}}
Eurìnome e la Dea Teti. Di queste
quasi due lustri in compagnia mi vissi,
e di molte vi feci opre
fibbie ed armille tortuose e vezzi
e bei monili, in cavo antro nascoso{{R|550}}
a cui spumante intorno ed infinita
né verun di mia stanza avea contezza,
né mortale né Dio, tranne le belle
Riga 580:
render mercé del benefizio antico.
Tu dinanzi sollecita le poni
il banchetto ospital,
questi mantici assetto e gli altri arnesi.{{R|560}}
Disse, e dal ceppo
abbronzato levossi zoppicando.
Moveansi sotto a gran stento le fiacche
gambe sottili. Allontanò dal fuoco
i mantici ventosi: ogni fabbrile{{R|565}}
istrumento raccolse, e dentro
li ripose
spugna ben tutto stropicciossi il volto
affumicato ed ambedue le mani
Riga 594:
Poi la tunica mise; ed il pesante
scettro impugnato, tentennando uscìo.
Seguìan
il passo ne reggean forme e figure
di vaghe ancelle, tutte
giovinette simìli, entro il cui seno
avea messo il gran fabbro e voce e vita
e vigor
arti insegnate dai Celesti il senno.
Queste al fianco del Dio spedite e snelle{{R|580}}
camminavano; ed egli a tardo passo
avvicinato a Teti, in un lucente
trono
nella man della Dea, così le disse:
Qual mai sorte
o sempre cara e veneranda Teti,
in
Troppo rado ne fai di tua presenza
contenti e lieti. Or parla, e il tuo desire
libera esponi. A soddisfarlo il grato{{R|590}}
cor mi sospinge, se pur farlo io possa,
e il farlo mi
di lagrime i bei rai Teti rispose:
Delle Dive
tanti, o Vulcano, tormentosi affanni{{R|595}}
quanti in me Giove
fra le Dive del mar suggetta ei fece
ad un mortale, al re Pelèo. Ritrosa
Riga 623:
logro dagli anni nel regal suo tetto.{{R|600}}
Né il tenor qui restò di mie sventure.
Mi nacque un figlio. Io
e come pianta ei crebbe, e mi divenne
il maggior degli eroi. Questo germoglio
Riga 629:
unico figlio su le navi io stessa
spedii di Troia alle funeste rive
a guerreggiar
gli dinega il ritorno; ed io non deggio
nella pelèa magion madre infelice{{R|610}}
abbracciarlo più mai. Né questo è tutto.
Fin
gli prolunga del Sole, ei lo consuma
nella tristezza, né giovarlo io posso.
Dagli Achivi ottenuta egli
premio di sue fatiche una fanciulla.
Agamennón gliela ritolse; ed esso
si ritrasse
alle navi rinchiusero gli Achei,{{R|620}}
né permettean
i duci argivi gli mandâr preghiere
e
Egli fermo negò la chiesta aita:
ma cinse di sue stesse armi
Pàtroclo, e al campo
da molti prodi. Su le porte Scee
tutto un giorno durò
E il dì stesso Ilïon sarìa caduto,
di Menèzio figliuol, non
tra i combattenti della fronte Apollo,
esaltandone Ettorre. Or io pel figlio
vengo supplice madre al tuo ginocchio,
onde a conforto di sua corta vita{{R|635}}
di scudo e
e di forte lorica e di schinieri
con leggiadro fermaglio. A lui perdute
ha tutte
il suo fedel compagno, ed egli or giace{{R|640}}
gittato a terra, e dal dolore oppresso.
Riga 667:
non ti gravi il pensier. Così potessi
alla morte il celar quando la Parca{{R|645}}
sul capo gli starà,
armi fornito manderollo, e tali
che al vederle ogni sguardo ne stupisca.
Riga 677:
e al fiato, che mettean dal cavo seno,
or gagliardo or leggier, come il bisogno{{R|655}}
chiedea
sibilando prendea spirto la fiamma.
In un commisti allor gittò nel fuoco
Riga 686:
di tanaglie la manca; e primamente
un saldo ei fece smisurato scudo
di dèdalo rilievo, e
tre ben fulgidi cerchi vi condusse,
poi
Cinque
e
Ivi ei fece la terra, il mare, il cielo
e il Sole infaticabile, e la tonda
Luna, e gli astri diversi onde sfavilla
incoronata la celeste volta,
e le Pleiadi, e
che pur Plaustro si noma. Intorno al polo
ella si gira ed Orïon riguarda,
dai lavacri del mar sola divisa.
Ivi inoltre scolpite avea due belle{{R|680}}
popolose città. Vedi
conviti e nozze. Delle tede al chiaro
per le contrade ne venìan condotte
dal talamo le spose, e Imene, Imene
con molti
Menan carole i giovinetti in giro
dai flauti accompagnate e dalle cetre,
mentre le donne sulla soglia ritte
stan la pompa a guardar maravigliose.
convenir si vedea. Quivi contesa
era insorta fra due che
piativano la multa. Un la mercede
già pagata asserìa;
Finir davanti a un arbitro la lite{{R|695}}
chiedeano entrambi, e i testimon produrre.
Riga 724:
e dalla mano degli araldi preso
il suo scettro ciascun, con questo in pugno
sorgeano, e
lor sentenza dicean. Doppio talento
che più diritta sua ragion dimostri.
Era
armi ristretta di due campi in due
parer divisi, o di spianar del tutto
son là dentro ricchezze in due partito
sia
non obbedìan per anco, e ad un agguato
armavansi di cheto. In su le mura
le care spose, i fanciulletti e i vegli{{R|715}}
fan custodia e corona; e quelli intanto
taciturni
li precorre e Gradivo entrambi
e la veste han pur
le divine stature, e
visibili: più bassa iva la torma.
Come in loco
presso un fiume, ove tutti a dissetarse
venìan gli armenti,
chiusi nel ferro, collocati in pria{{R|725}}
due di loro in disparte, che
spïassero la giunta e delle gregge.
Ed eccole arrivar con due pastori
che, nulla insidia suspicando, al suono
delle zampogne si prendean diletto.{{R|730}}
gli assalìa, ne predava in un momento
ed uccidea crudele anco i pastori.
Scossa
oste a consiglio tuttavia seduta,
monta le groppe, i predatori insegue,
e li raggiunge. Allor si ferma, e fiera
sul fiume appicca la battaglia. Entrambe{{R|740}}
si ferìan
Scorrea nel mezzo la Discordia, e seco
era il Tumulto e la terribil Parca
che un vivo già ferito e un altro illeso
artiglia colla dritta, e un morto afferra{{R|745}}
Manto di sangue tutto sozzo e rotto
le ricopre le spalle: i combattenti
parean vivi, e traean
i cadaveri in salvo alternamente.{{R|750}}
Vi sculse poscia un morbido maggese
Riga 781:
lor ponea nelle man spumante un nappo
di dolcissimo bacco; e quei tornando
ristorati al lavor,
fendean, bramosi di finirlo tutto.
Dietro nereggia la sconvolta gleba:
vero arato sembrava, e nondimeno
tutta era
Altrove un campo effigïato avea{{R|765}}
mietean le spighe; e le recise manne
altre in terra cadean tra solco e solco,
Riga 800:
Sotto una quercia i suoi sergenti intanto
imbandiscon la mensa, e i lombi curano
intente a mescolar bianche farine,{{R|780}}
van preparando ai mietitor la cena.
Seguìa quindi un vigneto oppresso e curvo
sotto il carco
nero il racemo, ed un filar prolisso
Lo circondava una cerulea fossa
e di stagno una siepe. Un sentier solo
al vendemmiante ne schiudea
Allegri giovinetti e verginelle
portano
e fra loro un garzon tocca la cetra
soavemente. La percossa corda
Riga 821:
in oro e stagno, e dal bovile uscièno
mugolando e correndo alla pastura
lungo le rive
che tra giunchi volgea
Quattro pastori, tutti
gìan
nove bianchi mastini. Ed ecco uscire
due tremendi lïoni, ed avventarsi{{R|805}}
Riga 835:
ne mettean dentro alle bramose canne
le palpitanti viscere ed il sangue.
aizzando i mastini. Essi
attaccar non osando i due feroci,
latravan loro addosso, e si schermivano.
Riga 845:
Poi vi sculse una danza a quella eguale
che ad Arïanna dalle belle trecce
di bellissimo corpo, che saltando
teneansi al carpo delle palme avvinti.
Riga 854:
Portano queste al crin belle ghirlande,
quelli aurato trafiere al fianco appeso
da cintola
danzano in tondo con maestri passi,
come rapida ruota che seduto{{R|835}}
Riga 863:
tre saltator che in varii caracolli{{R|840}}
rotavansi, intonando una canzona.
Il gran fiume Oceàn
questo lavoro, una lorica ei fece
che della fiamma lo splendor vincea;{{R|845}}
poi di raro artificio un saldo e vago
elmo alle tempie ben acconcio, e sopra
Fur
di pieghevole stagno. E terminate{{R|850}}
e al piè di Teti le depose. Ed ella,
ratta calossi dal nevoso Olimpo.
</poem>
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