Vai al contenuto

David Batchelor

Da Wikiquote, aforismi e citazioni in libertà.

David Batchelor (1955 – vivente), artista e scrittore scozzese.

Cromofobia

[modifica]
  • C'è un tipo di bianco che è più bianco, e questo era proprio quel tipo di bianco. C'è un tipo di bianco che respinge tutto ciò che gli è inferiore, e cioè quasi ogni cosa. E questo era quel tipo di bianco. C'è un tipo di bianco che non è creato dalla candeggina, ma è esso stesso candeggina. E questo era quel tipo di bianco. Questo bianco era bianco in maniera aggressiva. Imponeva la sua influenza su tutto quello che gli era attorno, e niente gli sfuggiva. (cap. 1 Scenari del bianco, p. 2)
  • Bianco puro: questo è certamente un problema occidentale, e non c'è modo di liberarsene. (cap. 1 Scenari del bianco, p. 6)
  • L'immaginario di Cuore di tenebra è colorato quasi esclusivamente di neri e bianchi. Una contrapposizione, questa, che non coincide con l'altra grande contrapposizione su cui è costruito il racconto, quella fra tenebra e luce, anche se a volte si avvicinano. L'obiettivo di Conrad è la generalizzazione della bianchezza e degli attributi e pregiudizi che si fondono con il termine e sembrano da esso inseparabili. Questa bianchezza generalizzata costituisce il fondale su cui si snoda il racconto, uno schermo imbiancato che viene penetrato e lacerato, ripetutamente, da particolari esempi di cose bianche. Queste cose – denti bianchi, capelli bianchi, ossa bianche, colletti bianchi, marmo bianco, avorio bianco, nebbia bianca – portano sempre con sé un misterioso senso di freddezza, di inerzia e di morte. Bianco, al pari di nero, di luce e di tenebra, diventa un termine estremamente complesso. Per Conrad, chi parla di bianco con sicurezza è, che lo sappia o no, un ipocrita o un folle. (cap. 1 Scenari del bianco, pp. 6-7)
  • Per Melville, come per Conrad, c'è un'instabilità nell'apparente uniformità del bianco. Dietro alla virtù cova il terrore; al di sotto della purità, annientamento o morte. Non morte nel senso di una vita finita, ma uno sguardo di morte nella vita: l'annientamento di ogni cara credenza e sistema, di ogni speranza e desiderio, di ogni punto di orientamento noto, di ogni illusione... Per entrambi gli scrittori, uno degli esempi più terribili della bianchezza è una immobile, silenziosa «nebbia lattiginosa», che è «più accecante della notte». E ad entrambi, di fronte a simile bianchezza, il colore appare insopportabilmente, quasi ingiuriosamente superficiale. (cap. 1 Scenari del bianco, p. 11)
  • Il corpo ideale: senza carne di alcun tipo, vecchia o giovane, bella o butterata, profumata o puzzolente; senza movimento, né esterno né interno; senza appetiti. (Questo il motivo per cui la cucina era un luogo così fastidioso, ma non fastidioso quanto la toilette.) Ma forse c'era qualcosa di più perverso; forse questo era un modello di ciò cui il corpo dovrebbe assomigliare dall'interno. Non un luogo di fluidi, organi, muscoli, tendini e ossa tutti in tensione costante, precaria e vivente fra loro, ma una camera sgombra, vuota, bianca, tutta ripulita, purificata da ogni testimonianza dei grotteschi imbarazzi della vita attuale. Non odori, non rumori, non colori; nessun cambiamento da uno stato a un altro e l'incertezza che ne consegue; nessuno scambio col mondo esterno e nessun dubbio e sporcizia che l'accompagnano; niente mangiare, niente bere, niente pisciare, niente cacare, niente succhiare, niente fottere, niente di niente. (cap. 1 Scenari del bianco, p. 15)
  • La cromofobia si manifesta nei tanti e vari tentativi di purgare il colore dalla cultura, di svalutare il colore, di diminuirne la rilevanza, di negarne la complessità. Più specificamente: questa espunzione del colore è di solito realizzata in una o due maniere. Nella prima, il colore viene considerato come proprietà di un qualche corpo "estraneo": di solito il femminile, l'orientale, il primitivo, l'infantile, il volgare, il bizzarro o il patologico. Nella seconda, il colore viene relegato al regno del superficiale, del supplementare, dell'inessenziale o del cosmetico. Nell'una, il colore è guardato come alieno e perciò pericoloso; nell'altra, è percepito soltanto come una qualità secondaria dell'esperienza, e quindi non meritevole di seria considerazione. Il colore è pericoloso, è banale, o l'una e l'altra cosa insieme. (È tipico dei pregiudizi fondere in uno il sinistro e il superficiale.) In entrambi i casi, comunque, il colore è di solito escluso dalle più elevate occupazioni della Mente. È altro rispetto ai più alti valori della cultura occidentale. O forse è la cultura che è altro rispetto ai più alti valori del colore. O il colore è la corruzione della cultura. (cap. 2 Cromofobia, p. 19)
  • Dove troviamo l'idea della Caduta nella cultura contemporanea? Una risposta potremmo trovarla nell'immagine delle droghe – o cultura della droga – e nel panico morale che la circonda. La "caduta dalla grazia che sono le droghe" è spesso rappresentata in modo non dissimile dalla discesa nel colore descritta da Blanc. Sensuale, inebriante, instabile, non permanente; perdita del controllo, perdita del centro di unità personale, perdita di sé... Ora scopriamo che esiste una relazione abbastanza interessante fra le droghe e il colore, e non è un'invenzione recente. Anch'essa, piuttosto, risale all'antichità, ad Aristotele, che chiamava il colore una droga – pharmakon – e, prima ancora, all'iconoclasta Platone, per il quale un pittore era semplicemente colui che utilizzava «molti [colori] mescolati insieme». A distanza di due millenni e mezzo, non sembra che le cose siano cambiate molto. Negli anni sessanta, per esempio, le droghe erano associate comunemente, e a volte comicamente, non già alla distorsione delle forme quanto all'intensificazione del colore. (cap. 2 Cromofobia, p. 31)
  • [Su Il cielo sopra Berlino] Le prime domande che l'angelo pone riguardano i nomi dei colori che egli vede. La sua caduta dalla grazia è una caduta nel colore, con un rumore sordo. È una caduta dal mondo degli spiriti disincarnati che tutto osservano nel mondo del particolare e del contingente, il mondo dell'esistenza sensibile, del caldo e del freddo, del gusto e del tatto, ma soprattutto è la caduta in un mondo di desiderio. È la caduta in un mondo di coscienza e di Io, o piuttosto la caduta da una supercoscienza nella coscienza individuale, ma è una caduta nell'Io realizzata con lo scopo esplicito di perdere l'Io nel desiderio. (cap. 2 Cromofobia, pp. 38-39)
  • [...] Il corridoio della paura di Sam Fuller, del 1963, impiega occasionali sequenze di colore, dentro un film per il resto in bianco/nero, per rappresentare una specie di guerra interiorizzata. Il film è un'allegoria delle psicosi che si annidano sotto la superficie della cultura americana del dopoguerra. Il mondo è bianco e nero. (cap. 2 Cromofobia, p. 40)
  • [Su Il corridoio della paura] Quando comincia a ficcare il naso in giro, incontra i vari pazienti (con valore allegorico) ricoverati nella clinica, e a poco a poco inizia a perdere il controllo di se stesso. Controllo che, poi, nel corso di un forte temporale, perde completamente. E cade: prima di tutto in un'interiore alluvione mentale, poi in un'alluvione di colori composta di casuali primi piani di possenti rapide e cascate. È una scena straordinaria e inquietante. Benché le sequenze a colori non durino più di quindici o venti secondi, lascia davvero spiazzati la combinazione di immagini allo stesso tempo vigorose e inaspettate. Il mondo delle psicosi e quello dei colori appaiono entrambi – e di colpo – estremamente potenti e senza forma alcuna. Essi non hanno figura. Non possono esseri afferrati o contenuti. Sono il terrore. (cap. 2 Cromofobia, p. 41)
  • [Su Il mago di Oz] [...] questo capolavoro cinematografico è una spettacolare discesa negli sgargianti colori del Technicolor. (cap. 2 Cromofobia, p. 42)
  • Il bianco deve essere più bianco del bianco e, per ottenere questo, gli si deve aggiungere colore. (cap. 2 Cromofobia, p. 56)
  • Il colore è pericoloso. È una droga, una perdita di coscienza, una specie di cecità, almeno momentanea. Il colore richiede, sfocia in – o forse è proprio – una perdita di centro della persona, una perdita di identità, di Io. Una perdita della mente, una specie di delirio, una specie di follia forse. (cap. 3 Apocalypstick, p. 57)
  • [Il colore cosmetico] comporta spesso l'imposizione di uno strato artificiale o illusorio di colore sopra un mondo monocromatico. Come dire, nel primo gruppo [il colore della caduta] il colore sta sotto al superficie; nel secondo gruppo, è posto sopra la superficie. Nel primo, il colore è nascosto dentro; nel secondo, il colore è applicato all'esterno. (cap. 3 Apocalypstick, p. 57)
  • Se i cosmetici possono sia valorizzare la bellezza sia nascondere la bruttezza, essi possono anche soffocare la vita. Sono realmente contro natura; possono essere usati per decorare un cadavere, ma possono anche fare un cadavere di quello che decorano. (cap. 3 Apocalypstick, p. 66)
  • [...] nell'opera di Warhol c'è sempre una distinzione tra la forma e la sua colorazione, una registrazione sfalsata fra linea e colore. La tipica incapacità di Warhol a mantenere il colore dentro la linea – la sua incapacità a contenere e recintare i suoi vividi rosa, arancioni, rossi, gialli e turchesi entro la disciplina di un contorno – è uno dei motivi del suo grande successo. In tutte le sue opere, il disegno e il colore sono in costante stato di reciproca agitazione. (cap. 3 Apocalypstick, p. 70)
  • Il colore non è mai ridotto a semplice «chiaroscuro tinto»; non è mai subordinato a volume e spazio. La chimica del colore di Warhol ha l'effetto opposto: distrugge il volume, lo spazio e il modellato; il cosmetico è dappertutto e dappertutto applicato allo stesso modo: alle labbra, alla faccia, alla figura, allo sfondo. (cap. 3 Apocalypstick, p. 71)
  • In almeno un senso, tutta la pittura è cosmetica. Tutta la pittura comporta che si spalmi della pasta colorata su una superficie piana, insulsa, ed è fatta al fine di imbrogliare e ingannare un osservatore, un osservatore che vuole farsi imbrogliare e ingannare lasciandosi trascinare a vedere qualcosa che non c'è. E dietro il trucco che è la pittura, non c'è niente. Non c'è sostanza sotto la superficie, non profondità dietro l'apparenza. Lo stesso vale, naturalmente, per il film, che ai nostri occhi è spesso un cosmetico più mistico della pittura. Dietro la danzante luce colorata, c'è appunto anche qui uno schermo piatto, una monocromia-nel-mondo di cui siamo costretti a ricordarci all'inizio e alla fine di ogni proiezione. (cap. 3 Apocalypstick, pp. 71-72)
  • [...] come ha osservato Mandy Merck, «il travestito è stato spesso indicato come la figura centrale nell'opera di Warhol», e per nessuno il trucco è più importante che per l'omosessuale che si traveste. La figura dell'omosessuale che si traveste è designata, così come la figura della retorica era per Platone, come un simulacro, una copia senza un originale, qualcosa di interamente artificiale e incerto. In questo senso, assomiglia molto al colore cosmetico: il suo scopo è di confondere e sedurre, di contraffare e celare. (cap. 3 Apocalypstick, p. 73)
  • Essi bruciano con molta luce, e poi muoiono. Gli uomini coloriti illuminano ciò che sta loro intorno, ma per farlo si consumano. (cap. 3 Apocalypstick, p. 79)
  • Nulla è fuori posto, e ognuno e ogni cosa circola nelle orbite completamente senza frizioni e apparentemente beate della ripetizione quotidiana. A Pleasantville non ci sono gabinetti. A parte il mangiare, che è fatto in grandi quantità senza nessun effetto evidente di alcun tipo, non ci sono funzioni corporali di qualunque genere a complicare le vite sorridenti e senza preoccupazioni degli abitanti. [...] Con il colore arriva la disgregazione, la discontinuità, la confusione, la passione e, soprattutto, il sesso. [...] Le persone che conoscevano il loro posto nell'ordine delle cose cominciano a desiderare di più e in maniera diversa, anzi, per l'appunto, cominciano a desiderare. (cap. 3 Apocalypstick, pp. 80-81)
  • Per gran parte dei critici Pleasantville è una satira leggera e molto divertente sul sentimentalismo della tv e sulla nostalgia americana per un mitico mondo non inquietato dal dissenso interno e dalla disgregazione indotta dall'esterno. Se un mondo del genere fosse mai esistito, sarebbe stato una specie di purgatorio, ci dice il film. Il colore è incertezza, dubbio e cambiamento, ma senza di esso c'è solo Legge e Casa. (cap. 3 Apocalypstick, p. 82)
  • In Pleasantville ritroviamo un'altra bellissima scena che rappresenta anch'essa un rovesciamento molto originale dell'immagine convenzionale del colore e del trucco. E il cuore del film, e ancora una volta centrale è la figura della madre. [...] Ancora una volta il colore è presentato come permanente e irresistibile; non può essere cancellato, può solo essere nascosto dietro una maschera monocroma, e solo per una situazione provvisoria. (cap. 3 Apocalypstick, p. 83)
  • Il colore è sia una caduta nella natura, che può essere a sua volta una caduta dalla grazia o una caduta nella grazia, sia contro la natura, e può dar luogo a una corruzione della natura o alla libertà dalle sue forze di corruzione. Il colore è una caduta nella decadenza e un recupero di innocenza, un'aggiunta falsa a una superficie e la verità sotto quella superficie. Il colore è disordine e libertà; è una droga, ma una droga che può intossicare, avvelenare o curare. Il colore è tutte queste cose, e più ancora, ma molto raramente è solo colore neutrale. In questo senso, la cromofobia e la cromofilia sono sia diametralmente opposte sia abbastanza simili. In particolare, sono spesso notevolmente simili nella forma. Nelle occasioni in cui al colore è riconosciuto un valore positivo, quello che colpisce di più è come il suo versante cromofobico – che è il femminile, l'orientale, il cosmetico, l'infantile, il volgare, il narcotico e così via – per lo più non sia bloccato, fermato e dirottato. Al contrario: nei racconti cromofili, questo processo è di solito insieme proseguito e accelerato. Il colore rimane altro; in realtà, spesso diventa più altro che prima. Più pericoloso, più disgregante, più eccessivo. E forse questo è il punto. La cromofobia non ha effettivamente il suo opposto nella cromofilia; la cromofobia potrebbe essere vista semplicemente come una versione debole della cromofilia. Il che vuol dire: la cromofobia riconosce l'alterità del colore ma cerca di dargli poca importanza, mentre la cromofilia riconosce l'alterità del colore e gli dà importanza. La cromofobia è forse solo la cromofilia senza il colore. (cap. 3 Apocalypstick, pp. 84-85)
  • Qui il colore è attivo; è vivo. Il colore proietta; non è rivestimento passivo di un oggetto inerte; la luce la si vede splendere al suo interno; il colore sembra avere la sua propria fonte di potere. Forse questo è il motivo per cui le gemme stanno spesso per il colore in generale. (cap. 4 Hanunoo, p. 88)
  • Il corpo è uno dei mezzi con cui noi ci esprimiamo quando esauriamo le parole. Il colore è così connesso con il corpo in almeno due modi: è applicato al corpo come trucco, ed è alleato con il corpo nella sua resistenza alla verbalizzazione. Inoltre, con il trucco non solo rendiamo i nostri corpi più visibili e vividi, ma li rendiamo anche più espressivi e articolati. Spesso noi affrontiamo il mondo con un gesto piuttosto che con una parola, mostrando piuttosto che dicendo. Indicando. Portando campioni. Tirando fuori cose e mettendole giù. Anche le parole tradiscono la nostra dipendenza da qualche muto gesto: quando spieghiamo qualcosa, noi "la mostriamo"; quando qualcosa è spiegata, noi l'"afferriamo". Quante volte, quando si tratta di colore – quando, cioè, abbiamo bisogno per qualche ragione di essere precisi a proposito del colore – siamo costretti a ritornare a un gesto? Quante volte ci troviamo a dover indicare un esempio di colore? (cap. 4 Hanunoo, p. 102)
  • Il colore è indivisibilmente fluido. Non ha divisioni interne, e non ha forma esterna. Ma come possiamo descrivere quello che non ha divisioni interne né forma esterna, come una nebbia vista dall'interno? Il colore è magari un continuum, ma il continuum viene continuamente spezzato, l'indivisibile incessantemente diviso. Il colore è senza forma ma è sempre configurato in modelli e forme. (cap. 4 Hanunoo, p. 105)
  • Bachtin, non dimentichiamolo, fumò uno dei libri da lui scritti. Questo potrebbe non essere molto rilevante, ma è pur sempre una storia molto bella. A un certo punto in Russia, durante la seconda guerra mondiale, dopo che una bomba aveva distrutto la casa editrice in cui era custodito il suo manoscritto, Bachtin si trovò a corto di cartine da sigaretta, ma non di tabacco. Provate a immaginare: c'era il tabacco, ma non il mezzo per fumarlo; c'era questo manoscritto, e nessuna prevedibile possibilità di pubblicarlo. Che cosa avreste fatto voi? (cap. 5 Cromofilia, p. 129)

Bibliografia

[modifica]
  • David Batchelor, Cromofobia. Storia della paura del colore, traduzione di M. Sampaolo, Mondadori, Milano, 2001. ISBN 9788842497684

Altri progetti

[modifica]
pFad - Phonifier reborn

Pfad - The Proxy pFad of © 2024 Garber Painting. All rights reserved.

Note: This service is not intended for secure transactions such as banking, social media, email, or purchasing. Use at your own risk. We assume no liability whatsoever for broken pages.


Alternative Proxies:

Alternative Proxy

pFad Proxy

pFad v3 Proxy

pFad v4 Proxy