Luciano di Samosata
Luciano di Samosata (Samosata, 120 circa – Atene, tra il 180 e il 192), scrittore siro di lingua greca.
Citazioni di Luciano di Samosata
[modifica]- Ἀκούετε [...] τά γε ἀπὸ καρδίας.
- Io al mondo grave, con cattivo nome | Podagra detta son[1], terribil male, | con nervei lacci lego altrui le gambe; | penetrando ne' membri non veduta, | rido di quei che son da me percossi, | che il ver non dicon mai de' mali loro; | ma con pazze finzioni lusingandosi, | ciascun pasce sé stesso di bugie; | e con dire agli amici esserci svolto, | O percosso il suo piè, la cagion tace, | e agli altri ascoso vuol quel ch'ei non dice. | Ma il ver col tempo poi malgrado suo | mostrasi, e vinto allor mi chiama a nome; | e gli amici lo menano in trionfo. | La fatica è compagna de' miei mali, | io sola senza d'essa non son nulla. (Podagra; da Parnaso straniero, L'ocipo o il celeripede, p. 31)
- Mi racconti sogni. (Dialoghi dei morti, 25,2)
- Ονείρατά μοι λέγεις.
- La città [di Agrigento], vedendola cadere in rovina per la negligenza dei suoi magistrati che lasciavano rubare o addirittura saccheggiare il tesoro pubblico, la restaurai, feci sistemare gli acquedotti, feci innalzare begli edifici, arricchii facilmente le finanze pubbliche affidandole a buoni amministratori, mi presi cura della gioventù, vegliai sui vecchi e divertii il popolo con spettacoli, elargizioni, feste e pasti popolari. (Falaride, I, 3)[2]
- Il Xanto. Raccoglimi, o Mare, vedi che ho sofferto, spegnimi l'ardore di queste piaghe.
Il Mare. Chi t'ha così concio, o Xanto? chi ti ha bruciato?
Il Xanto. È stato Vulcano. Misero me! son divenuto un carbone, e ribollo tutto.
Il Mare. E perché ti ha gettato il fuoco addosso?
Il Xanto. Pel figliuolo di Teti. Come ei menava strage de' Frigi, io lo pregai che cessasse da quella furia, non mi chiudesse coi cadaveri la corrente, ed egli niente: io allora per pietà di quei miseri, gli andai addosso, quasi per sommergerlo, sicché avesse paura e non uccidesse tanta gente. Allora Vulcano, che per caso mi era vicino, mi fu sopra con tutto il fuoco che aveva nella fucina, e nell'Etna, e in ogni parte; mi bruciò salci e tamarigi, mi arrostì i poveri pesci e le anguille, mi fe' tutto ribollire, e per poco non m'inaridì. Vedimi come mi son fatto per tante scottature.
Il Mare. Ei pare che tu sei torbido, e caldo; il sangue è dei cadaveri, ed il caldo è del fuoco, come tu di'. Ma ti sta bene, o Xanto, che te la volesti pigliare con un mio nipote, non avendo rispetto che egli era figliuolo d'una Nereide.
Il Xanto. Ma non doveva io aver pietà de' Frigi miei vicini?
Il Mare. E Vulcano non doveva aver pietà di Achille figliuolo di Teti?[3] - Diogene. O quanta boria! E su che la fondi, o Cario, che vuoi essere onorato da tutti noi?
Mausolo. Sul regno, o Sinopeo; io fui re di tutta la Caria, signoreggiai gran parte della Lidia, sottomisi molte isole, e soggiogai molti paesi della Jonia sino a Mileto: ero bello, aitante della persona, prode in guerra: e, quel che più è, in Alicarnasso ho sopra di me un sepolcro grandissimo, e tale che nessun morto ha il simile per bellezza, ornato di maravigliose statue di cavalli e di uomini, fatto di bellissimi marmi; sì che neppure un tempio si troveria si magnifico. Non ti pare che sia ben fondata la mia boria?
Diogene. Cioè sul regno, su la bellezza, e su la pesantezza del sepolcro?
Mausolo. Su questo, sì per Giove.
Diogene. Ma, o bel Mausolo, quella tua vigoria e quella tua leggiadria or non l'hai più. Se scegliamo un giudice tra la bellezza tua e la mia, io non so perché dovrebbe lodare il teschio tuo più del mio: gli abbiam calvi entrambi, e spolpati: entrambi abbiamo i denti digrignati a un modo, e le occhiaie vuote, e il naso scavato. Quel sepolcro e quei marmi preziosi forse giovano agli Alicarnassii, i quali ne fan mostra ai forestieri, e si pregiano di possedere un gran monumento: ma tu, io non vedo tu che ne godi: se pur tu non dici questo, che più di noi tieni un gran peso addosso e sei schiacciato da tante pietre
Mausolo. Dunque tutto questo non mi giova; e meriterà eguale onore Mausolo e Diogene?
Diogene. Eguale no, o prode, no. Perché Mausolo piangerà ricordandosi dei beni della terra nei quali si credeva felice; e Diogene si riderà di lui. Egli dirà che in Alicarnasso gli fu innalzato un sepolcro da Artemisia sua moglie e sorella; e Diogene non sa se il corpo suo ha avuto una sepoltura, né se ne briga, ma lasciò fama di sé tra i buoni, e la vita che egli visse da uomo è più sublime del monumento tuo, o vilissimo de' Carii, e fondata sovra fondamenta più salde.[4] - Non m'era levato uno stadio, e la Luna, con una vocina di donna: O Menippo, disse, fa' buon viaggio, e portami un'ambasciata a Giove. Di' pure, risposi, un'ambasciata non pesa a portarla. L'ambasciata è facile, disse, è una preghiera che da parte mia presenterai a Giove. Io sono stucca, o Menippo, di udire i filosofi che ne dicon tante e poi tante di me, e non hanno altro pensiero che d'impacciarsi de' fatti miei, chi son io, e quanto son grande, e perché ora sono scema ed ora son piena: chi dice che sono abitata, e chi che son come uno specchio pendente sul mare, ed ogni sciocchezza che pensano l'appiccano a me. Han detto finanche che questa luce non è mia, ma è roba rubata, e me l'ho presa dal Sole; e non la finiscono, e per questo mi faran bisticciare e venire alle brutte con mio fratello; non essendo contenti di sparlare del Sole, che è una pietra, e una palla di ferro rovente.[5]
- Unione con nessuno, sconoscenza e disprezzo per tutti: amico, ospite, compagno, l'altare della compassione, son tutte ciance: intenerirsi al pianto, sovvenire alla miseria, è un trasgredire la legge, un rovesciare i costumi: vivere solitario come i lupi: Timone solo amico a Timone. Tutti gli altri uomini nemici ed insidiatori: conversare con alcuno, sia contaminazione: e se ne vedo pure uno, quel giorno sia nefasto. Saranno per me come statue di pietra o di bronzo: messi da loro non riceverne, a patti non venire giammai: questa solitudine divida me da loro: compagni, cittadini, tribù, e patria stessa, nomi freddi ed inutili, pregiati solo dagli sciocchi. Timone sia ricco solo per sé, disprezzi tutti, goda egli solo tra sé, e fugga ogni adulazione e lode: faccia sacrifizio agli Dei, e banchetti egli solo, sia egli il suo vicino, il suo confinante, e discacci tutti. Sia legge ch'ei non porga la mano a nessuno, ancorché debba morire e mettersi la corona in capo. Piacemi che mi chiamino Misantropo, e che mi riconoscano come un acerbo, un collerico, un duro, un disumano: se vedo uno nel fuoco, e che mi prega di spegnere l'incendio, lo spegnerò con pece ed olio: se uno, traportato da una fiumana gonfia, il verno, mi tende le mani e mi prega di trarlo fuori, io lo attufferò con la testa giù affinché non possa salire a galla. Così saremo pari: chi te la fa, fagliela.[6]
La tragopodagra o il podagroso
[modifica]- [...] calco i capi degli uomini, e le piante de' miei piedi son tenere, e dal valgo son chiamata Podagra, perché ai piedi io fo caccia.[1] (Podagra, p. 27)
- Grande, o ricca Podagra[1], è il poter tuo, | cui pur teme di Giove il pronto dardo; | treman di te l'onde del mar profondo, | tremane il re degl'Infernali, Pluto. | O godente di fasce, e di piumacci | amante, e d'ogni corso impeditrice, | dei talloni tormento, e delle piante | dei piedi incendiatrice, e che la terra | tocchi appen sulla pelle, e dei pestelli | paurosa, ginocchi piangi, vegghia, | calcina e crucia man, ginocchi piega; | ed ingobba, Podagra potentissima. (Coro, p. 27)
- Molti ne ho pure io domi degli Eroi | e sel sanno i Sapienti, e Priamo detto | fu Podarco, per esser podagroso. | Morì di gotta Achille di Pelèo: | di podagra patì Bellorofonte; | podagroso fu Edipo re di Tebe. | Podagroso Plistene dei Pelopidi: | di Peante il figliuol colla podagra | conduceva l'armata, ed altro duce | dei Tessali fu pur detto Podarco, | il qual, poscia che cadde in la battaglia | Protesilao ancor esso gottoso, | Benché non sano conducea l'armata. | Il re d'ltaca Ulisse di Laerte | uccisi io, non la spina della triglia.[1] (Podagra, p. 28)
[Da Parnaso straniero, La tragopodagra o il podagroso, pp. 27-30]
A chi gli diceva: "Tu sei un Prometeo nel dire"
[modifica]Dunque tu dici ch'io sono un Prometeo? Se intendi, o caro, che son di creta anche le opere mie, tengo per buono il paragone, e dico: sì sono, né rifiuto il nome di pentolaio, benché la mia creta sia molto vile, come quella che è raccolta in su le vie e poco meno che fango. Ma se per lodarmi di gran finezza d'arte tu mi appicchi il nome di quel sapientissimo de' Titani, bada che alcuno non dica che sotto la lode sta l'ironia e un frizzo attico. Oh che finezza d'arte è la mia? che gran sapere e gran vedere è negli scritti miei?
Di non credere facilmente alla dinunzia
[modifica]Tristo male è l'ignoranza, e cagione di molti mali agli uomini: essa diffonde quasi una caligine su le cose, oscura la verità, e getta un'ombra su la vita di ogni uomo. Noi sembriamo come quelli che vanno al buio, anzi siam come ciechi, e dove intoppiamo a caso, dove trapassiamo alla ventura, questo che ci è vicino e innanzi a' piedi non vediamo, quello che è lontano e molto discosto temiamo come ci fosse molesto. Insomma in tutte le azioni noi stiamo sempre per cadere.
[Luciano di Samosata, Di non credere facilmente alla dinunzia, in Opere di Luciano, traduzione di Luigi Settembrini, 3 voll., Le Monnier, Firenze, 1862, vol. III.]
Icaromenippo, o il passanuvoli
[modifica]Menippo. Dunque eran tremila stadii dalla terra sino alla luna, dove ho fatta la prima posata: di là fino al sole un cinquecento parasanghe;[7] e dal sole per salir sino al cielo ed alla rocca di Giove ci può essere una buona giornata di aquila.
Amico. Deh, che vai strolagando fra te, o Menippo, e misurando gli astri? Da un pezzo ti seguo, e t'odo borbottare di sole e di luna, e con certe parolacce forestiere di posate e di parasanghe.
Prometeo, o Il Caucaso
[modifica]Mercurio. Ecco, o Vulcano, il Caucaso, dove dobbiamo inchiodare questo sventurato Titano. Andiamo guardando se v'è qualche rupe acconcia, qualche balza nuda di neve, per fermarvi salde le catene, e sospenderlo alla vista di tutti.
Vulcano. Andiam guardando, o Mercurio: non conviene crocifiggerlo in luogo basso e vicino alla terra, chè gli uomini da lui formati verrebbero ad aiutarlo: né troppo in cima, chè non saria veduto da quei di giù. Se ti pare, qui è una giusta altezza, su questo precipizio potrà esser crocifisso: stenderà una mano a questa rupe, ed un'altra a questa dirimpetto.
Storia vera
[modifica]Come gli atleti e, comunque, quanti praticano qualche esercizio fisico si preoccupano non soltanto di mantenersi in forma e di allenarsi, ma anche di concedersi al momento opportuno un po' di riposo – ritengono questo una parte delle più importanti nell'ambito dell'attività sportiva – ugualmente, ne sono sicuro, anche a chi è impegnato in un intenso sforzo intellettuale giova riposare la mente, dopo una lettura prolungata di libri seri, in modo da renderla più pronta e vivace in vista delle successive fatiche.[8]
Una vendita di vite all'incanto
[modifica]Giove. Tu, disponi gli scanni e prepara il luogo agli avventori: tu presenterai ad una ad una le vite che abbiamo a vendere; ma ripuliscile prima, affinché abbiano buona apparenza ed attirino gente assai. E tu, o Mercurio, fa' il bando, e chiama col buono augurio i compratori ad entrare in bottega. Per ora metteremo all'incanto queste vite qui, questi filosofi d'ogni specie e d'ogni setta. Chi non ha contanti da sborsare subito, darà mallevadoria, e pagherà l'anno venturo.
Mercurio. È già venuta la folla: bisogna sbrigarci, e non indugiarla.
Giove. Dunque vendiamo.
Citazioni su Luciano di Samosata
[modifica]- Il procedimento di cui Luciano si vale nel capitolo sui «Sacrifici» è lo stesso che serve a Voltaire per canzonare la Bibbia: il ricorso al buon senso, contro l'assurdità della favole religiose. (Arrigo Cajumi)
- Luciano sembra appartenere al novero di quelli che non tengono in conto alcunché: mentre infatti mette in burla e sbeffeggia le opinioni altrui, non dà indicazioni su quello in cui crede, a meno che non si voglia credere che sua opinione sia quella di non averne alcuna. (Fozio)
Note
[modifica]- ↑ a b c d Nei due componimenti, la Podagra viene personificata come una dea.
- ↑ Citato da Paul Faure La vita quotidiana nelle colonie greche traduzione di Maria Grazia Meriggi, Rizzoli, p. 330. ISBN 88-17-17074-7
- ↑ Il Xanto ed il Mare, in Dialoghi marini. In Opere di Luciano. Voltate in italiano da Luigi Settembrini, Volume I, Felice Le Monnier, Firenze, 1861, p. 277.
- ↑ Da Diogene e Mausolo, Dialoghi dei morti. In Opere di Luciano, vol I, pp. 317-318.
- ↑ Da Icaromenippo, in Opere di Luciano, traduzione di Luigi Settembrini, vol. II, Le Monnier, Firenze, 1862, p. 387.
- ↑ Da Timone, in Opere di Luciano, traduzione di Luigi Settembrini, vol. I, Le Monnier, Firenze, 1861, pp. 213-214.
- ↑ Lo stadio corrispondeva a venticinque passi geometrici. Parasanghe; misura persiana di trenta stadii. I Persiani furono i primi ad usare le poste che si dicono inventate da Ciro.
- ↑ Citato in Giacomo Papi, Federica Presutto, Riccardo Renzi, Antonio Stella, Incipit, Skira, 2018. ISBN 9788857238937
Bibliografia
[modifica]- Lucianus, A chi gli diceva: "Tu sei un Prometeo nel dire", Icaromenippo, o il passanuvoli, Prometeo, o Il Caucaso, Una vendita di vite all'incanto, in "Opere, voltate in italiano da Luigi Settembrini", Felice Le Monnier, Firenze, 1862.
- Parnaso straniero, Volume V, Greci, Giuseppe Antonelli Editore, Venezia, 1841.
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