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Milione/36

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Capitolo 36
De la grande china

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Capitolo 36
De la grande china
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Questo piano dura verso mezzodie 5 giornate. Da capo de le cinque giornate è un’altra china che dura 20 miglia, molto mala via, e àvi molti mali uomini che rubano.

Di capo della china à uno piano molto bello, che si chiama lo piano di Formosa, e dura due giornate di bella riviera; e quivi àe francolini, papagalli e altri uccelli divisati da li nosti.

Passate due giornate, è lo mare Oziano e ’n su la ripa è una città con porto, ch’à nome Cormos, e quivi vegnono d’India per navi tutte ispezzerie, drappi d’oro e (denti di) leofanti (e) altre mercatantie assai; e quindi le portano li mercatanti per tutto lo mondo. Questa è terra di grande mercatantia; sotto di sé àe castella e cittadi assai, perch’ella è capo de l(a) provincia; lo re à nome Ruccomod Iacomat. Quivi è grande caldo; inferma è la terra molto, e se alcuno mercatante d’altra terra vi muore, lo re piglia tutto suo avere.

Quivi si fa lo vino di dattari e d’altre ispezie asai, e chi ’l bee e non è uso, sé ’l fa andare a sella e purgalo; m[a] chi n’è uso fa carne assai. Non usano nostre vivande, ché se manicassero grano e carne, infermarebbero incontanente; anzi usano per loro santà pesci salati e dattari e cotali cose grosse, e con queste dimorano sani.

Le loro navi sono cattive e molte ne pericala, perché non sono confitte con aguti di ferro, ma con filo che si fa della buccia delle noci d’India, che si mette in molle ne l’(a)cqua e fassi filo come setole; e con quello le cuciono, e no si guasta per l’acqua salata. Le navi ànno una vela, un timo[n]e, uno àbore, una coverta, ma quando sono caricate, le cruopono di cuoie, e sopra questa coverta pongono i cavalli che menano in India. No ànno ferro per fare aguti e è grande pericolo a navicare con quelle navi.

Questi adorano Malcometto. E èvi sí grande caldo, che se no fosse li giardini co molta acqua di fuori da la città, ch’egli ànno, non camperebboro. Egli è vero che vi viene uno vento la state talvolta di verso lo sabione con tanto caldo che, se gli uomini non fugissoro a l’acqua, non camperebboro del caldo. Elli seminano loro biade di novembre e ricogliele di marzo, e cosí fanno di tutti loro frutti; a da marzo inanzi non si truova niuna cosa viva, cioè verde, sopra terra, se non lo dattaro, che dura infino a mezzo maggio; e questo è per lo grande caldo. Le navi non sono impeciate, ma sono unte d’uno olio di pesce. E quando alcuno vi muore, sí fanno grande duolo; e le donne si pia(n)gono li loro mariti bene quattro anni, ogne die almeno una volta, con vi(ci)ni e co’ parenti.

Or tornaremo per tramontana per contare di quelle province, e ritornaremo per un’altra via a la città di Creman, la quale v’ò contato, perciò che [a] quelle contrade ch’io vi voglio contare, no vi si può andare se non da Creman. E vi dico che questo re Ruccomod Iacamat, do[nde] noi ci partiamo aguale, è re di Creman. E in ritornare da Cormos a Creman à molto bello piano e abondanza di vivande, e èvi molti bagni caldi; e àvi ucelli assai e frutti. Lo pane del grano è molto amaro a chi non è costumato, e questo è per lo mare che vi viene.

Or lasciàno queste parti, e andiamo verso tramontana; e diremo come.

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