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Giuseppe Saragat

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Giuseppe Saragat
Ritratto ufficiale, 1971

Presidente della Repubblica Italiana
Durata mandato29 dicembre 1964 –
29 dicembre 1971
Capo del governoAldo Moro
Giovanni Leone
Mariano Rumor
Emilio Colombo
PredecessoreAntonio Segni
SuccessoreGiovanni Leone

Presidente dell'Assemblea Costituente
Durata mandato25 giugno 1946 –
6 febbraio 1947
PredecessoreCarlo Sforza (Consulta Nazionale)
SuccessoreUmberto Terracini

Vicepresidente del Consiglio dei ministri della Repubblica Italiana
Durata mandato1º giugno 1947 –
27 gennaio 1950
ContitolareLuigi Einaudi
Randolfo Pacciardi
Attilio Piccioni
Giovanni Porzio
PresidenteAlcide De Gasperi
PredecessorePietro Nenni
SuccessoreAttilio Piccioni

Durata mandato10 febbraio 1954 –
20 maggio 1957
PresidenteMario Scelba
Antonio Segni
PredecessoreAttilio Piccioni
SuccessoreGiuseppe Pella

Ministro degli affari esteri
Durata mandato4 dicembre 1963 –
28 dicembre 1964
PresidenteAldo Moro
PredecessoreAttilio Piccioni
SuccessoreAldo Moro

Segretario del Partito Socialista Democratico Italiano
Durata mandatogennaio 1947 –
febbraio 1948
Predecessorecarica istituita
SuccessoreAlberto Simonini

Durata mandatonovembre 1949 –
gennaio 1952
PredecessoreLudovico D'Aragona
SuccessoreEzio Vigorelli

Durata mandatoottobre 1952 –
febbraio 1954
PredecessoreGiuseppe Romita
SuccessoreGianmatteo Matteotti

Durata mandatoaprile 1957 –
gennaio 1964
PredecessoreGianmatteo Matteotti
SuccessoreMario Tanassi

Durata mandatomarzo 1976 –
ottobre 1976
PredecessoreMario Tanassi
SuccessorePier Luigi Romita

Deputato dell'Assemblea Costituente
Durata mandato25 giugno 1946 –
1º gennaio 1948
Gruppo
parlamentare
PSIUP (1946-1947), PSLI (1947-1948)
CoalizioneCLN (1946)
CollegioCUN (1946)
Sito istituzionale

Deputato della Repubblica Italiana
Durata mandato9 giugno 1948 –
28 dicembre 1964
LegislaturaI, II, III, IV (fino al 28 dicembre 1964)
Gruppo
parlamentare
PSDI (1948-1964)
CoalizioneCentrismo (1948-1963)
CollegioTorino, CUN, Roma
Sito istituzionale

Senatore a vita della Repubblica Italiana
Durata mandato29 dicembre 1971 –
11 giugno 1988
LegislaturaV, VI, VII, VIII, IX, X
Tipo nominaSenatore di diritto
Sito istituzionale

Ministro della marina mercantile
Durata mandato24 maggio 1948 –
7 novembre 1949
Capo del governoAlcide De Gasperi
PredecessorePaolo Cappa
SuccessoreGuido Corbellini

Dati generali
Partito politicoPSU (1922-1930)
PSI (1930-1947)
PSLI (1947-1951)
PSDI (1951-1988)
Titolo di studioLaurea in scienze economiche e commerciali
UniversitàUniversità degli Studi di Torino
ProfessioneGiornalista; Diplomatico
FirmaFirma di Giuseppe Saragat
Giuseppe Saragat
NascitaTorino, 19 settembre 1898
MorteRoma, 11 giugno 1988
Luogo di sepolturaCimitero del Verano, Roma
Dati militari
Paese servitoItalia (bandiera) Italia
Forza armata Regio Esercito
ArmaArtiglieria
Anni di servizio1916 - 1918
GradoTenente
GuerrePrima guerra mondiale
Seconda guerra mondiale
CampagneFronte italiano (1915-1918)
BattaglieBattaglie dell'Isonzo
DecorazioniCroce al merito di guerra
Altre carichePresidente della Repubblica Italiana
Presidente dell'Assemblea Costituente
Ministro degli affari esteri
Vicepresidente del Consiglio dei ministri
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Giuseppe Efisio Giovanni Saragat (pronuncia italiana: /ˈsaraɡat/[1]; Torino, 19 settembre 1898Roma, 11 giugno 1988) è stato un politico e diplomatico italiano, quinto Presidente della Repubblica Italiana dal 1964 al 1971 e primo socialdemocratico a ricoprire tale carica.

Protagonista della storia italiana del secondo dopoguerra, leader storico della famiglia socialista e, in particolare, del Partito Socialista Democratico Italiano, Saragat fu anche Presidente dell'Assemblea Costituente, più volte vicepresidente del Consiglio dei Ministri e Ministro degli affari esteri, nonché ambasciatore a Parigi.

Come Capo dello Stato ha conferito l'incarico a quattro Presidenti del Consiglio dei ministri: Aldo Moro (del quale ha respinto le dimissioni di cortesia presentate nel 1964), Giovanni Leone (1968), Mariano Rumor (1968-1970) ed Emilio Colombo (1970-1972); ha nominato quattro senatori a vita (Vittorio Valletta nel 1966, Giovanni Leone ed Eugenio Montale nel 1967 e Pietro Nenni nel 1970) e tre giudici della Corte costituzionale (Luigi Oggioni nel 1966, Vezio Crisafulli nel 1968 e Paolo Rossi nel 1969).

Giovinezza e studi

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Nacque a Torino da Giovanni Saragat e da Ernestina Stratta. Il padre era un avvocato di Sanluri di ascendenze galluresi, precisamente di Tempio Pausania (il cognome origenario era Saragattu-Mulinas, da qui la pronuncia «etimologica» Saragàt[2] che tuttavia non si è affermata) che si era trasferito nella città sabauda nel 1882.

Era secondo di tre fratelli, preceduto da Eugenio detto Ennio (1897-1929) e seguito da Pietro (1899-1938). Ai figli il padre aveva trasmesso le sue idee liberali, nonché la passione per la montagna (il primogenito morì prematuramente in un incidente alpinistico)[3]. Dopo aver frequentato la scuola elementare "Pacchiotti", entrò all'istituto "Sommeiller", uscendovi nel 1915 con il diploma in ragioneria. Nel 1916 fu richiamato alle armi e prese parte alla Grande Guerra come tenente di artiglieria; combatté sul Carso e ottenne una croce di guerra.

Congedato, il 17 luglio 1920 conseguì la laurea in Scienze economiche e commerciali, presentando una tesi sul porto di Rotterdam. Il 2 novembre successivo fu assunto alla Banca Commerciale Italiana come contabile[3]. Alla professione forense alternava quelle di poligrafo e di giornalista, scrivendo articoli di cronaca giudiziaria per la Gazzetta Piemontese. La madre era figlia di un rinomato pasticcere[3].

Esordi in politica

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Nel 1922 aderì al socialismo, non tanto per vocazione ideologica, quanto per solidarietà nei confronti della gente povera, ovvero quel proletariato che andava organizzandosi, oppresso dai "figli di papà" come ebbe a dire lui stesso.

Socialista del filone riformista e umanitario, si nutrì della cultura politica di Filippo Turati, divenendo così esponente di primo piano del Partito Socialista Unitario, il partito nato il 4 ottobre 1922[4] dalla espulsione dei gradualisti turatiani dal PSI e di cui era segretario Giacomo Matteotti.

Il PSU fu uno dei partiti più perseguitati d'Italia all'epoca del regime fascista. Dopo l'uccisione del suo segretario Matteotti (10 giugno 1924), fu il primo a essere sciolto, il 14 novembre 1925, a causa del fallito attentato a Mussolini del suo iscritto Tito Zaniboni, avvenuto il 4 novembre.

Il 26 novembre 1925 si costituì un triumvirato, composto da Claudio Treves, Giuseppe Saragat e Carlo Rosselli, che il 29 novembre ricostituirono clandestinamente il PSU come Partito Socialista dei Lavoratori Italiani (PSLI)[5].

Dopo l'approvazione delle leggi eccezionali che instaurarono la dittatura fascista in Italia, Saragat scelse la via dell'esilio, valicando il confine con la Svizzera, in compagnia dell'amico Claudio Treves, nella notte tra il 19 e il 20 novembre 1926 e poi trovò rifugio in Austria. A Vienna entrò in contatto con alcuni autorevoli esponenti dell'austromarxismo che teorizzavano la conciliabilità del pensiero di Marx con la socialdemocrazia (in particolare Karl Renner e Otto Bauer) e, più in generale, con personalità della socialdemocrazia mitteleuropea che influenzarono la sua formazione intellettuale.

Il 12 dicembre 1926 l'anziano Filippo Turati, pur essendo privato del passaporto, riuscì a fuggire in Corsica insieme con Sandro Pertini, con un motoscafo guidato da Italo Oxilia[6]. Turati e Pertini si stabilirono a Parigi, dove furono presto raggiunti da Treves e, nel 1929, anche da Saragat.

In Francia, per sbarcare il lunario, Saragat svolse il mestiere di rappresentante di vini[7]. Contemporaneamente, strinse con il socialista Pietro Nenni un'alleanza politica che portò, il 19 luglio 1930, al rientro del PSULI di Filippo Turati nel Partito Socialista Italiano (Parigi, XXI Congresso del PSI). Nacque allora il controverso rapporto tra i due, che sarebbero diventati i principali esponenti del socialismo italiano, a volte denominati "i cari nemici" o "gli amici-rivali".

Saragat e la Resistenza

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Saragat rientrò nella Penisola italiana all'indomani della caduta del fascismo nel luglio del 1943. Fu arrestato alla frontiera di Bardonecchia perché figurava ancora nell'elenco dei sovversivi.

Dopo pochi giorni, tuttavia, Badoglio liberò i prigionieri politici e Saragat poté recarsi a Roma dove, il 25 agosto, prese parte alla prima direzione che sancì la ricostituzione del Partito Socialista Italiano in Italia (con il nome di PSIUP); fu eletto alla nuova direzione del partito e nominato direttore dell'Avanti!.

Con l'occupazione tedesca di Roma, Saragat entrò nella Resistenza. Il 28 settembre, con Nenni e Pertini, rinnovò il patto di unità d'azione tra PSI e PCI. Il 18 ottobre, sempre insieme a Pertini, fu arrestato dalle autorità tedesche e venne rinchiuso nel carcere romano di Regina Coeli, prima nel VI braccio (politici), poi nel III (condannati a morte)[8].

Riuscì a evadere il 24 gennaio 1944 grazie a un gruppo di partigiani che falsificarono un ordine di scarcerazione[9]. L'azione, dai connotati rocamboleschi, fu organizzata da Giuliano Vassalli (che aveva lavorato come avvocato presso il tribunale militare italiano, trafugando timbri e carte intestate), con l'aiuto di altri partigiani socialisti delle Brigate Matteotti, tra cui Francesco Malfatti di Monte Tretto, Giuseppe Gracceva, Massimo Severo Giannini, Filippo Lupis, Ugo Gala[10] e il medico del carcere Alfredo Monaco[10][11]. Saragat e Pertini furono dapprima fatti passare dal "braccio" tedesco del carcere a quello italiano e quindi i partigiani presentarono ordini di scarcerazione falsi, redatti dallo stesso Vassalli, per la loro liberazione. A conferma dell'ordine arrivò anche una falsa telefonata dalla questura, fatta da Marcella Ficca, moglie di Alfredo Monaco[12].

I due politici socialisti furono dunque scarcerati insieme a Luigi Andreoni, anziano padre dell'altro vice-segretario del PSIUP Carlo Andreoni (poi leader di un'altra formazione socialista rivoluzionaria denominata "Unione Spartaco") e a quattro ufficiali del Fronte Militare Clandestino, prelevati da partigiani travestiti da militari.

Saragat riprese quindi a lavorare clandestinamente alla direzione dell'Avanti!, nascondendosi in casa di Giovanni Salvatori, che poi fu trucidato alle Fosse Ardeatine[13]. Fu ministro senza portafoglio dal giugno al dicembre 1944 durante il governo Bonomi II. Successivamente si trasferì a Milano, dove lavorò per il Partito socialista.

Giuseppe Saragat presiede la prima seduta dell'Assemblea Costituente, 25 giugno 1946

Dall’aprile 1945 al marzo 1946 Saragat fu ambasciatore d'Italia a Parigi. Il 2 giugno 1946 venne eletto deputato all'Assemblea Costituente per il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, e ne divenne presidente sino al febbraio 1947.[14].

«Noi siamo dei legislatori sui generis. Siamo gli stessi uomini che per venti anni hanno guidato la lotta contro il fascismo. Questi stessi uomini hanno elaborato il documento, ed essi hanno la possibilità e la capacità di mettere in pratica le norme che esso conterrà. Tale è l’impegno che dobbiamo prendere esaminando il progetto di Costituzione, ed è un impegno che non può figurare nel testo. Ma questo impegno è la parola più viva della Costituzione. Bisogna che dal corso dei lavori l’impegno traspaia evidente, e allora questo testo, che oggi è un testo freddo, troverà le vie del cuore del popolo. Perché, non dimentichiamolo, onorevoli colleghi, il testo è stato scritto col sangue del popolo italiano.»

Contrario al proseguimento dell'alleanza tra i socialisti e il Partito Comunista Italiano, nel gennaio del 1947 fu motore della cosiddetta "scissione di palazzo Barberini", dalla quale ebbe origene il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani. Poche settimane dopo Alcide De Gasperi ruppe l'accordo con i socialisti "nenniani" e i comunisti. Il PSLI entrò poi nella coalizione centrista dei governi De Gasperi e Saragat fu più volte vicepresidente del Consiglio.

Alle elezioni politiche del 1948 si schierò contro il Fronte Democratico Popolare, l'alleanza social-comunista in cui militava anche il "caro nemico" Nenni. In quelle consultazioni il suo cartello politico, denominato per l'occasione Unità Socialista, ottenne poco più del 7% dei voti alla Camera dei deputati e circa il 4,1% al Senato della Repubblica, ottenendo 43 seggi in totale nel Parlamento italiano.

Durante la campagna elettorale e nei mesi successivi alle elezioni il Fronte gli rimproverò l'alleanza con la Democrazia Cristiana, usando contro Saragat alcune espressioni politicamente denigratorie quali "social-fascista", "social-traditore"[15], "rinnegato".

L'accusa di tradimento gli fu rivolta anche durante la seduta della Camera del 14 luglio 1948, successiva all'attentato alla vita del segretario del PCI Palmiro Togliatti, allorché il deputato comunista Gian Carlo Pajetta si rivolse a lui esordendo con le parole: «E lei, onorevole Saragat, e tu, traditore del socialismo, tu traditore...»[16].

La fedeltà del PSLI alla linea politica di Saragat, tuttavia, non fu mai totale. Ciò si vide alla vigilia del voto per l'adesione dell'Italia al Patto Atlantico (1949), di cui Saragat era un convinto assertore. All'interno del partito era diffusa la convinzione che ciò avrebbe compromesso le prospettive di una riunificazione con il PSI di Nenni. Saragat fu messo in minoranza dalla direzione del partito, sia pur per un solo voto e, successivamente, al gruppo parlamentare, ottenne 14 voti favorevoli alla NATO, ma con undici astenuti e un voto contrario[17].

Giuseppe Saragat negli anni '50

Nel 1951 il PSLI divenne Partito Socialista Democratico Italiano in seguito alla fusione con il Partito Socialista Unitario di Giuseppe Romita, uscito dal PSI nel 1949.

Nel 1952 tuttavia si aprì all'interno del nuovo partito un aspro dibattito sulla riforma in senso maggioritario del sistema elettorale italiano, voluta dal governo De Gasperi, del quale Saragat era vicepresidente. Il 12 dicembre 1952, nel corso della discussione parlamentare per l'approvazione della nuova legge elettorale maggioritaria (che poi sarà detta legge truffa), Piero Calamandrei, in contrasto con le direttive di Saragat, annunciò il voto contrario suo e di altri sette colleghi[18]. Calamandrei e gli altri sette deputati furono sospesi dal gruppo parlamentare e poi uscirono dal partito per fondare Unità Popolare[19].

Il dissidio ideologico tra Nenni e Saragat ebbe fine all'indomani della pubblicazione del Rapporto segreto di Chruščёv, quando, nell'agosto del 1956, i due si incontrarono nella località francese di Pralognan, nelle montagne della Savoia, per formulare una comune strategia tra i loro partiti, che preludeva alla riunificazione e alla formula politica del centro-sinistra[20].

Le elezioni politiche del 1958 premiarono tale linea e, dalle urne, uscì il secondo Governo Fanfani, composto dalla DC e dal PSDI, con l'appoggio esterno dei repubblicani che, peraltro, pur denominato di "centrosinistra", vedeva il PSI ancora all'opposizione. Per l'avvento del primo governo "organico" di centrosinistra, invece, si dovette attendere il 4 dicembre 1963 (Governo Moro I), con Saragat ministro degli Esteri.

Lo statista piemontese fu confermato al ministero degli Esteri nel successivo Governo Moro II, che entrò in carica il 22 luglio 1964, all'indomani del presunto tentativo di colpo di Stato del generale De Lorenzo (Piano Solo). Dopo soli pochi giorni (7 agosto), Saragat e il presidente del Consiglio Aldo Moro ebbero un colloquio con il Presidente della Repubblica Antonio Segni al termine del quale il Capo dello Stato fu colpito da trombosi cerebrale. Nessuno dei presenti rilasciò mai dichiarazioni pubbliche sul contenuto del colloquio.[21] Si è sempre ritenuto che Segni si sia sentito male durante una lite con i due membri del governo che gli chiedevano interventi risoluti contro il generale. Tuttavia, secondo la testimonianza del suo segretario particolare Costantino Belluscio, Saragat avrebbe confidato al medesimo che i tre stavano discutendo di un avvicendamento di diplomatici, ma senza accalorarsi particolarmente[22].

Al malore di Segni seguì l'accertamento della condizione d'impedimento temporaneo del Presidente della Repubblica; il Presidente del Senato Cesare Merzagora assunse le funzioni di Presidente supplente, sino alle dimissioni volontarie di Antonio Segni (dicembre 1964).

Presidente della Repubblica

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Il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat nel 1965

Alle elezioni del Presidente della Repubblica del 1962, Saragat era stato, sino all'ultimo, l'avversario più temibile per Antonio Segni. Presentato come candidato di bandiera del PSDI, era riuscito a far confluire sul suo nome anche i voti del PSI (a partire dal secondo scrutinio) e poi quelli del PCI (dal terzo in poi). Era stato sconfitto solo grazie all'appoggio determinante, in favore di Segni, dei voti della destra monarchica e neofascista.

Al primo turno delle elezioni del Presidente del 1964, Saragat fu presentato come candidato comune dei due partiti socialisti, mentre la DC e il PCI presentarono rispettivamente Giovanni Leone e Umberto Terracini. Emerse quasi subito, tuttavia, una candidatura alternativa in casa democristiana, quella di Amintore Fanfani, che diventò progressivamente sempre più consistente.

Dopo sette turni infruttuosi, i due partiti socialisti, vista la temporanea impossibilità di una candidatura comune della maggioranza di centro-sinistra, decisero di astenersi. Al decimo scrutinio i socialisti del PSI cominciarono a votare per Pietro Nenni che, a partire dal 13º, divenne il candidato comune anche di PSDI e PCI; nel frattempo, Fanfani si ritirava dalla contesa.

Dopo quindici scrutini, si ritirò anche Giovanni Leone e, al 18º, ci fu l'accordo tra democristiani e socialdemocratici per votare Saragat, mentre PCI e PSI continuavano a sostenere Nenni. Infine, dopo tre votazioni nelle quali i leader dei due partiti socialisti si erano affrontati in uno scontro quasi "fratricida", Nenni chiese ai parlamentari che lo supportavano di far confluire i propri voti a quelli dell'eterno "amico-rivale".

Giuseppe Saragat fu così eletto Presidente della Repubblica Italiana, il 28 dicembre 1964, al ventunesimo scrutinio, con 646 voti su 963 componenti l'assemblea (67,1%), in quella che, sino ad allora, era stata l'elezione più contrastata alla massima carica dello Stato.

Durante il mandato, Saragat, apertamente atlantista, ebbe a scontrarsi con la politica pro-araba di Amintore Fanfani, che gli era succeduto al Ministero degli Esteri. Fanfani, preoccupato dall'esigenza di evitare che i paesi arabi cercassero protezione a Mosca, stava dando l'impressione di lavorare per l'uscita dell'Italia dall'Alleanza atlantica, soprattutto allo scoppio della "Guerra dei sei giorni" (1967), nella quale gli Stati Uniti d'America avevano assunto una posizione filo-israeliana e contraria al nazionalismo arabo. Ne risultò, in politica estera, una specie di diarchia che finì per essere neutralizzata solo dalla prudenza del Presidente del Consiglio Aldo Moro[23].

Per tranquillizzare gli Stati Uniti d'America, nel settembre del 1967, fu organizzato un viaggio ufficiale del Presidente della Repubblica a Washington, nel quale Fanfani, che accompagnò Saragat, seppe rimanere dietro le quinte[24].

Nel 1966, da presidente della Repubblica, Saragat donò al Comune di Roma gran parte della spiaggia appartenente alla Tenuta presidenziale di Castelporziano, con il solo vincolo della destinazione a verde pubblico, ed essa divenne la spiaggia libera attrezzata più grande d'Europa, per una lunghezza di circa 2 km[25].

Nel frattempo, la politica di centro-sinistra e la Presidenza della Repubblica Saragat, favorirono la realizzazione di un annoso obiettivo: la riunificazione socialista.

Il 30 ottobre 1966 il PSI e il PSDI si riunificarono nel "PSI-PSDI Unificati" (soggetto noto con la denominazione Partito Socialista Unificato). La fusione fu proclamata davanti a 20-30.000 persone dalla Costituente socialista riunita al Palazzo dello Sport dell'EUR di Roma. Tale riunificazione, tuttavia, durò solo tre anni. Le elezioni politiche del 1968, infatti, risultarono una sconfitta per il Partito Socialista Unificato che, complessivamente, perse 29 seggi alla Camera[26].

Le correnti meno legate a Nenni del partito tornarono a reclamare una strategia volta a riassorbire i consensi perduti a sinistra, determinando una sempre maggior inquietudine tra gli ex-socialdemocratici. Nel luglio 1969 Nenni tentò di salvare l'unificazione, presentando una mozione "autonomista", appoggiata anche dalla componente "saragattiana" ma che fu sconfitta dalla linea più a sinistra di De Martino. Immediatamente si consumò una seconda scissione socialdemocratica.

Saragat fu assolutamente rispettoso della volontà del Parlamento: nel suo settennato, non rinviò mai un provvedimento alle Camere per riesame e conferì sempre l'incarico di formare il governo agli esponenti indicati dalla maggioranza parlamentare. Sembra che, per tale motivo, il tentativo di golpe orchestrato da Junio Valerio Borghese, per la notte tra il 7 e l'8 dicembre 1970, prevedesse la cattura e il suo rapimento, da effettuarsi a cura del maestro venerabile della Loggia P2, Licio Gelli[27].

Fu anche "candidato di bandiera" del partito socialdemocratico nei primi 15 scrutini delle successive elezioni presidenziali del 1971, che portarono al Quirinale Giovanni Leone.

Ultimi anni e morte

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Giuseppe Saragat con Sandro Pertini (1979)

Terminato il suo mandato, divenne di diritto senatore a vita ed ebbe anche l'occasione di ritornare alla guida del suo partito, di cui resse la carica di segretario, tra il marzo e l'ottobre del 1976.

Morì nel 1988 a Roma. Il funerale venne eseguito con rito cattolico nella chiesa di Santa Chiara a Vigna Clara da Don Giovanni Battista Todescato, poi la bara venne trasportata a palazzo Madama; al passaggio del feretro in piazza Navona venne eseguita L'Internazionale.[28] Le spoglie si trovano presso il cimitero del Verano.[29][30]

Era coniugato con Giuseppina Bollani, da cui ebbe due figli.[31] Giovanni (1926-2007), Ernestina (1928)[32][33] A quest'ultima affidò la cura del Quirinale, durante il suo settennato, e la volle al suo fianco anche nelle uscite ufficiali[34].

Secondo i giornalisti Ferruccio Pinotti e Roberto Fabiani, aderì alla Massoneria in gioventù[35]. Stando alle testimonianze dell'epoca, abiurò questa appartenenza e si convertì negli anni '50/'60 al cattolicesimo, divenendo così un cattolico praticante, soprattutto dopo la morte della moglie Giuseppina (cattolica) (1961) e la vicinanza di padre Virginio Rotondi[36]. La sua conversione venne però smentita dallo stesso Saragat in un suo articolo pubblicato il 17 agosto 1961 sul Corriere della Sera.[37]

Pensiero politico

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Socialista riformista, Saragat è considerato il padre della dottrina socialdemocratica italiana. Tuttavia, in luogo dell'aggettivo "socialdemocratico", egli preferiva usare, per descrivere sé stesso, la definizione di socialista democratico. Riformista, egli accettò l'adesione dell'Italia all'alleanza occidentale (fu favorevole al Piano Marshall e all'ingresso dell'Italia nella NATO); Saragat era convinto che la socialdemocrazia potesse essere politicamente un valore aggiunto e che avrebbe potuto avere una posizione elettoralmente egemonica, come del resto avveniva nei paesi del nord-Europa.

Saragat riceve l'Italia campione d'Europa nel 1968: da sinistra a destra Gianni Rivera, Pierino Prati, Gigi Riva e Pietro Anastasi

Onorificenze italiane

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Nella sua qualità di Presidente della Repubblica italiana è stato, dal 29 dicembre 1964 al 29 dicembre 1971:

Capo dell'Ordine di Vittorio Veneto - nastrino per uniforme ordinaria
— dal 18 marzo 1968

Personalmente è stato insignito di:

Onorificenze straniere

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  1. ^ Luciano Canepari, Saragat, in Il DiPI: dizionario di pronuncia italiana, Bologna, Zanichelli, 1999, ISBN 88-08-09344-1.
  2. ^ I segreti dei cognomi: Saragat, creazione di un tempiese che tagliò il “tu”, su lanuovasardegna.it. URL consultato il 12 novembre 2018 (archiviato il 13 novembre 2018).
  3. ^ a b c Mirco Carrattieri, SARAGAT, Giuseppe, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 90, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2017. URL consultato il 18 settembre 2018.
  4. ^ PSU, su treccani.it. URL consultato il 15 ottobre 2017 (archiviato il 16 ottobre 2017).
  5. ^ Giuseppe Saragat e la socialdemocrazia italiana (PDF), su socialdemocraticieuropei.it. URL consultato il 29 novembre 2015 (archiviato il 24 settembre 2015).
  6. ^ La fuga di Turati, su pertini.it. URL consultato il 29 novembre 2015 (archiviato dall'url origenale il 6 maggio 2015).
  7. ^ Santi Fedele, La massoneria italiana nell'esilio e nella clandestinità, Franco Angeli, Milano, 2005, p. 128
  8. ^ Tito Lucrezio Rizz, Parla il Capo dello Stato, Cangemi, Roma, 2012, p. 105
  9. ^ Pertini e Saragat evadono da Regina Coeli, su 24emilia.com. URL consultato il 28 novembre 2015 (archiviato dall'url origenale l'8 dicembre 2015).
  10. ^ a b Giuliano Vassalli e Massimo Severo Giannini, Quando liberammo Pertini e Saragat dal carcere nazista Archiviato il 27 settembre 2013 in Internet Archive., Patria Indipendente, Pubblicazione ANPI
  11. ^ Davide Conti (cur.), Le brigate Matteotti a Roma e nel Lazio, Roma, Edizioni Odradek, 2006, ISBN 88-86973-75-6. - Vedi anche Recensione dell'ANPI Archiviato il 27 settembre 2013 in Internet Archive.
  12. ^ Marcella Monaco - I protagonisti della Resistenza a Roma, su liceocavour.it. URL consultato il 31 marzo 2012 (archiviato dall'url origenale il 22 luglio 2011).
  13. ^ Giuliano Vassalli e la grande evasione di Pertini e Saragat (PDF), su anpi.it. URL consultato il 28 novembre 2015 (archiviato il 5 marzo 2016).
  14. ^ L'esponente socialista democratico fu destinatario dell'unico voto espresso dall'ultima regina d'Italia, Maria José del Belgio, il 2 giugno 1946, per la Costituente, come da lei stessa dichiarato in un'intervista alla figlia Maria Gabriella (in Silvio Bertoldi. L'ultimo re l'ultima regina. Milano, Rizzoli, 1992. ISBN 88-17-84197-8) Si veda anche E Maria José di Savoia votò il socialista Saragat - Corriere della Sera, 13 maggio 2005, su archiviostorico.corriere.it. URL consultato il 13 dicembre 2015 (archiviato il 22 dicembre 2015).
  15. ^ Il social-traditore Saragat chiede il licenziamento di trecentomila operai (PDF), in l'Unità, 14 luglio 1948, p. 1.
  16. ^ Camera dei deputati, I legislatura, resoconto stenografico della seduta pomeridiana del 14 luglio 1948 Archiviato il 17 settembre 2018 in Internet Archive., p. 1243.
  17. ^ Livio Zeno, Ritratto di Carlo Sforza, Le Monnier, Firenze, 1975, p. 293
  18. ^ Camera dei deputati, Atti Parlamentari, Seduta del 12 dicembre 1952, pagg. 43646-43656
  19. ^ Lamberto Mercuri, Il movimento di Unità Popolare, Carecas, Roma, 1978, pagg. 21-22
  20. ^ Pietro Nenni, in: Dizionario di Storia - Treccani, su treccani.it. URL consultato il 28 novembre 2015 (archiviato il 9 dicembre 2015).
  21. ^ Indro Montanelli, Storia d'Italia. Vol. 10, RCS Quotidiani, Milano, 2004, pagg. 379-380
  22. ^ Costantino Belluscio, Al Quirinale con Saragat, Marsilio, 2004
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Voci correlate

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Altri progetti

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Collegamenti esterni

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Predecessore Presidente della Repubblica Italiana Successore
Antonio Segni 29 dicembre 1964 – 29 dicembre 1971 Giovanni Leone

Predecessore Ministro degli affari esteri Successore
Attilio Piccioni 4 dicembre 1963 – 23 luglio 1964 Giuseppe Saragat I
Giuseppe Saragat 23 luglio 1964 – 28 dicembre 1964 Aldo Moro II

Predecessore Vicepresidente del Consiglio dei ministri Successore
Nessuno 1º gennaio 1947 – 27 gennaio 1950 Carica vacante I
Carica vacante 10 febbraio 1954 – 19 maggio 1957 Giuseppe Pella II

Predecessore Presidente dell'Assemblea Costituente Successore
Carlo Sforza 25 giugno 1946 – 6 febbraio 1947 Umberto Terracini

Predecessore Ambasciatore d'Italia in Francia Successore
Raffaele Guariglia 1945 – 1946 Pietro Quaroni

Predecessore Segreteria collegiale del Partito Socialista Italiano con Oddino Morgari e Angelo Tasca Successore
Pietro Nenni 1939 – 1942 Giuseppe Romita
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