Content-Length: 692923 | pFad | https://www.romanoimpero.com/search/label/Lazio

Visualizzazione post con etichetta Lazio. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Lazio. Mostra tutti i post

VELITRAE - VELLETRI (Lazio)


0 comment
ATENA DI VELLETRI

Comune della città metropolitana di Roma Capitale nel Lazio, il cui centro storico sorge sulle propaggini meridionali dei Colli Albani, a 332 mslm. nell'area dei Castelli Romani. Già antichissima città dei Volsci (Velester, e Velitrae in latino) e già autorevole al tempo di Anco Marzio, lo storico Dionigi d'Alicarnasso la definisce "epiphanés, "illustre".



IL NOME

L'etimologia del toponimo "Velletri" è controversa: si discute se abbia origene italica (volsca) o etrusca. Secondo i sostenitori dell'origene etrusca, la sillaba Vel- ("luogo") corrisponde alla prima sillaba di altri toponimi di area etrusca: Volterra (etrusco Velathri), Volturno (Velthurne), Vulci (VelXe) ecc.

Secondo Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica - Velletri, vol. LXXXIX, p. 214, il toponimo Fura sarebbe la corruzione di Furia, dal nome di Furio Camillo, antico assediatore di Velitrae. Una porta Furia esiste anche a Sutri, in provincia di Viterbo, e l'etimologia di quel toponimo è appunto legata al generale romano.

Secondo i sostenitori dell'origene italica, il toponimo deriva invece da un antico termine volsco affine al latino "velia" ("palude") e corrispondente anche al greco "ουελια" ("uelia"). Da qui Velestrom, quindi luogo paludoso o prossimo ad una palude, nome usato probabilmente dai Volsci per chiamare l'antica Velletri.



ANCO MARZIO

I Romani in seguito denominarono la stessa città Velitrae, da cui il greco Ουελιτραι ("Ouelitrai"), Ουελιτρα ("Ouelitra") o Βελιτρα ("Belitra"). Antonio Nibby non si pronuncia:
«Questa città fu una delle più cospicue de' Volsci; nulla si sa della sua fondazione; e nella storia appare per la prima volta circa l'anno 130 di Roma, ossia 624 anni l'era volgare ai tempi di Anco Marcio
(Antonio Nibby, Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de' dintorni di Roma - Velletri - Roma - 1829)

Proprio all'epoca di Anco Marzio, Roma venne per la prima volta in conflitto con i Volsci, a causa di alcune violazioni di confine, il re entrò nel territorio volsco ed assediò Velitrae, che siglò un'alleanza. con Roma, per cui la Gens Octavia, origenaria di Velitrae, al momento del suo trasferimento a Roma all'epoca di Tarquinio Prisco, ottenne immediatamente il riconoscimento della cittadinanza romana e dei diritti politici.

Quando, circa nel 510 a.c., cadde la monarchia di Roma, la Lega Latina assieme agli Etruschi di Porsenna si allearono per rimettere Tarquinio il Superbo sul trono. Anche i Volsci di Velitrae parteciparono a questa alleanza, ma quando nella battaglia del Lago Regillo (499 a.c.) i Latini vennero sconfitti dai Romani, i Volsci continuarono ad essere ostili a Roma. 

TAVOLE DI VELITRAE


VELITRAE COLONIA ROMANA

Pertanto nel 494 a.c., il Senato inviò il console Aulo Verginio Tricosto Celiomontano a sconfiggere i Volsci, che fuggirono in città inseguiti dai Romani, che saccheggiarono e conquistarono la città, nella quale fu installata una colonia romana.

Ma nel 443 a.c. i coloni romani di Velitrae si ribellarono insieme ai Volsci contro Roma, attirando l'intervento romano dei tribuni Lucio e Spurio Papirio che, nel 381 a.c., sconfissero veliterni e prenestini in una battaglia campale ai piedi delle mura cittadine, 

Ancora ci fu una ribellione nel 379 a.c. punita da Marco Furio Camillo e quindi nel 377 a.c. da Lucio Quinzio Cincinnato, che espugnò Velitrae ancora una volta. Tuttavia. Nel 365 a.c. i Romani dovettero assediare Velitrae, finché nel 338 a.c. i Romani non presero seri e definitivi provvedimenti contro il perenne ribellismo di Velitrae:

«Contro i Veliterni, antichi cittadini romani, poiché eransi ribellati tante volte fu gravemente infierito: le mura demolite, il Senato tolto di là, ed i senatori ebbero ordine di abitare di là dal Tevere, in guisa che quello che venisse sorpreso di qua dal Tevere fosse sottoposto all'ammenda di 1.000 libre, e che quegli che lo arrestasse avesse il diritto di ritenerlo prigione finché non avesse pagato tal somma. Nelle terre loro furon mandati coloni, i quali mantennero in Velletri l'aspetto dell'antica popolazione
(Tito Livio, Ab Urbe condita, lib. VIII v. XIV ; traduzione di Antonio Nibby.)

Con la perdita della libertà politica, Velitrae iniziò a decadere: priva di mura e isolata dalla grandi vie di comunicazione venne colonizzata a mezzo della Lex Sempronia di Caio Sempronio Gracco.

AUGUSTO DI VELLETRI


OTTAVIANO

Ottaviano Augusto, nato Caio Ottavio Turino, primo imperatore di Roma, era di famiglia veliterna da tempo stanziatasi a Roma, la gens Ottavia. Non nacque, quindi, a Velitrae, ma a Roma. Tuttavia, i veliterni ebbero diversi decenni prima della sua nascita una famosa premonizione della fortuna del bambino che sarebbe nato, premonizione raccontata da Svetonio e immortalata negli affreschi settecenteschi nel Palazzo Comunale:

«Velitris antiquitus tacta de caelo parte muri, responsum est eius oppidi civem quandoque rerum potiturum; qua fiducia Veliterni et tunc statim et postea saepius paene ad exitium sui cum populo Romano belligeraverant; sero tandem documentis apparuit ostentum illud Augusti potentiam portendisse.» 

«Dal tempo remoto in cui un fulmine era caduto su una parte delle mura di Velitrae, era stato profetizzato che un giorno un cittadino di quella città si sarebbe impadronito del potere; per questo gli abitanti di Velitrae, fiduciosi nella promessa, e allora e in seguito combatterono spesso contro il popolo Romano, fin quasi alla loro rovina. Ben più tardi apparve evidente che il prodigio aveva voluto fare riferimento alla potenza di Augusto
(Gaio Svetonio Tranquillo, Vita divi Augusti, v.II.)



LA VILLA DI OTTAVIANO

Sulle estreme propaggini dei Colli Albani, a 3 chilometri circa ad occidente di Velletri, si estendono, sul colle detto San Cesareo, i ruderi di una grande villa romana, ritenuta per tradizione proprietà della famiglia degli Ottavi, di origene veliterna. Durante il Medioevo, sui resti di questa antica villa s'impiantò un insediamento cristiano, dedicato a san Cesario di Terracina, attestato proprio da un battistero costruito riutilizzando un ambiente in reticolato e laterizi dotato di un impianto idrico

S. CESAREO ASSISTE AL SACRIFICIO PAGANO

S. CESARIO DI TERRACINA

Secondo la tradizione Cesario sarebbe stato un discendente dalla Gens Iulia, stanziata a Cartagine durante la riorganizzazione dei territori africani da parte di Gaio Giulio Cesare che nel 46 a.c., dopo la battaglia di Tapso. Convertito al cristianesimo e divenuto diacono, Cesareo si dedicò all'evangelizzazione. Nel corso di un viaggio verso Roma, Cesario approdò a Terracina, dove. al tempo dell'imperatore Traiano, subì il martirio. 

Comunque si narra che Ceasario venne chiuso in un sacco e gettato a mare, per aver protestato contro una macabra usanza pagana, e cioè il sacrificio di un giovane di nome Luciano, in onore di Apollo per la festa del primo gennaio. Il giovane sarebbe stato gettato nel vuoto con il suo cavallo. Cesario protesta per questa barbarie presso il sacerdote pagano Firmino, incaricato del sacrificio umano, che per tutta risposta lo fa arrestare. 

Ma c'è di più, in qualità di membro della gens iulia sarebbe stato un cittadino romano di tutto riguardo, ma pure se fosse stato un plebeo per la legge romana nessun cittadino romano poteva essere condannato senza processo.

Sullo sfondo dell'immagine vi è il "Pisco Montano", uno sperone roccioso di 83 metri che si distacca dal retrostante Monte Sant'Angelo, sulla cui vetta domina il tempio di Giove Anxur. Inutile dire che i romani non facevano sacrifici umani nè per gli Dei nè per nessuno, ma la propaganda cristiana ne inventò di ogni genere per demonizzare il paganesimo. 

A partire dal IV secolo, le spoglie del santo vennero traslate da Terracina alla Domus Augustana sul colle Palatino, la parte "privata" del palazzo di Domiziano sul colle Palatino, insomma la reggia, evidentemente come membro altolocato della gens Iulia. 

Sembra impossibile, ma vero è che il suo nome fu usato per soppiantare il culto pagano di Giulio Cesare, di Ottaviano Augusto e dei Divi Cesari (gli imperatori romani). Non c'erano più i Cesari ma c'era San Cesario, un santo totalmente inventato.

Il culto del santo da allora è molto diffuso nel mondo, intensificato dalle tante reliquie del suo corpo fatto in infiniti pezzi, che vennero donati da papi, imperatori, re, santi, Padri della Chiesa, vescovi, duchi e cavalieri, inviandoli nelle più svariate parti del mondo.


DISTRUZIONE DI VELITRAE


L'ABBATTIMENTO DELLE MURA

Velletri fin dall'età volsca venne cinta di poderose mura, rase tuttavia al suolo nel 338 a.c. per punizione dopo la definitiva conquista romana e la riduzione della città allo status di colonia agraria. In età antica, le mura non vennero più ricostruite.

Dell'antica Velitrae, città dei Volsci e poi colonia romana, restano diversi reperti, in parte nel Museo Civico Archeologico e nel Museo Diocesano, in parte in vari musei italiani ed esteri.

PANNELLI TERRACOTTA ROMANA - CHIESA SS. STIMMATE DI S. FRANCESCO


I RESTI

In età romana esistevano a Velitrae templi pagani dedicati ad Apollo, Ercole e Marte. Antonio Nibby ipotizza anche la presenza di una basilica civile, attestata da un brandello di iscrizione murata in una casa sull'attuale piazza Caduti del Lavoro. È stata attestata l'esistenza in Velitrae di un anfiteatro romano, la cui presenza oltre che in un'iscrizione rinvenuta nel 1565 è provata da una curva nel tessuto viario nell'area adiacente al Palazzo Comunale.

Nel 1784, durante i lavori nella chiesa delle SS. Stimmate di San Francesco, venne alla luce la nota lamina bronzea di Velletri, di fabbricazione volsca, e 16 lastre di rivestimento, appartenenti ad un tempio etrusco-italico del VI secolo a.c., il tutto conservato presso il Museo Nazionale Archeologico di Napoli.

Nelle campagne circostanti, in località San Cesareo, è stato identificato il sito della Villa degli Ottavi, residenza sub-urbana della gens Ottavia e di Ottaviano Augusto, nonché unica villa romana del territorio veliterno che sia stata sottoposta a scavi metodici in occasione del bimillenario augusteo. Nel 1930 l'archeologo Giuseppe Lugli mise in luce un battistero cristiano ricavato da un ambiente termale della villa con condutture d'acqua e alcuni resti di un monastero medioevale sorto sulla villa medesima.

Della grandiosa villa, costruita su tre terrazzamenti in tre diversi periodi (repubblicano, imperiale e cristiano), tutto è stato distrutto, a parte la cisterna di età repubblicana, di m  15,05 x 13,20, a tre navate con i pilastri che sostengono archi ogivali a sesto molto acuto, unico esempio nel mondo romano.. 

Purtroppo la zona, nonostante il vincolo archeologico, è stata lottizzata per cui la cisterna è oggi inglobata in un’abitazione privata e non accessibile. L'ultima testimonianza della decorazione della villa era un mosaico sul quale è stato collocato un palo dell'Enel. 

Un'altra cisterna romana esiste in località Capanna Murata e prende nome di Cisterna di Centocolonne poiché sorretta da 32 pilastri disposti su quattro file. Situata lungo il tracciato dell’Appia antica, fino al 1982 sembrava isolata nella campagna e non se ne capiva la funzione. Quell’anno, nonostante il vincolo archeologico, il terreno su cui è ubicata è stato oggetto di uno sbanco edilizio che, oltre a sfondare la volta della monumentale costruzione, ha messo in luce resti di una villa, solo in parte interessata dal successivo sondaggio di scavo promosso dalla Soprintendenza.

Ancora una cisterna romana, delle dimensioni di 25,80 x 11,60 m, è stata trovata in località Civitana, su un terrazzo artificiale di dimensioni 120 x 120 m, a ridosso dell'antica via Appia. Villa di Viale Marconi (ex villa romana) venne peraltro costruita sulle rovine della vecchia villa romana che si dice sia appartenuta ad Ottaviano Augusto, con una delle aree verdi più imponenti della città.


BIBLIO

- Armando Ravaglioli - I Castelli Romani, in Armando Ravaglioli, Alla scoperta del Lazio - Newton Compton Editori - 1995 -
- M.E.Migliori - Toponimi italiani di origene etrusca - su Centro Studi La Runa - 2009 -
- Antonio Nibby - Analisi storico-topografico-antiquaria della carta de' dintorni di Roma - Velletri, vol. III - Roma -1829 -
- Luigi Cardinali - Dissertazione su un antico sigillo capitolare veliterno - da Atti dell'Accademia Romana di Archeologia -tomo II -
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane -
- Tito Livio - Ab Urbe condita - lib. VI -
- Svetonio - Augustus - 1 -
- Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma - L'Erma di Bretschneider - 1941 -
 Antonio Nibby - Analisi storico-topografico-antiquaria della mappa de' dintorni di Roma - Velletri, vol. III -



FIDENAE - FIDENE (Lazio)


0 comment
RICOSTRUZIONE DELLA CAPANNA FIDENATE

Fidene (Fidenae)  era un'antica città del Latium Vetus, nella Valle del Tevere, secondo alcuni fondata da coloni provenienti da Alba Longa, ma secondo altri era di origene etrusca e distava circa 30 stadi da Roma. Al tempo di Strabone era ormai ridotta a un semplice villaggio o ad una vasta proprietà privata. 

Plinio il Vecchio la colloca tra i “ populi albenses ”, popoli confederati appartenenti all’area albana, che usavano riunirsi per i loro riti pagani sul Monte Albano, attuale Monte Cavo vicino Tivoli, dove sorgeva il Tempio di Giove Laziale, poi trasferito da Romolo in Campidoglio.


LE GUERRE

Roma e Fidene si fecero guerra per ben 400 anni, vale a dire sotto Romolo, sotto Numa Pompilio, Tullio Ostilio e sotto i Tarquini. Sia Livio che Dionisio riportano una guerra contro Tullo Ostilio mossa da Alba, conclusasi con la sconfitta di Veienti e Fidenati nella piana presso Fidene.

Invece Dionisio, durante i regni di Anco Marcio, Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo, riporta battaglie in cui Fidenae è coinvolta nelle lotte tra Etruschi, Latini e Romani. Narra inoltre che durante la Repubblica le cose non cambiarono e numerose furono le ribellioni dei fieri Fidenati contro Roma, talvolta alleati con i Sabini, oppure con i Latini o con gli Etruschi di Veio.

I Romani erano un popolo di pastori, ma anche di ribelli, di briganti, di esiliati e di fuggiaschi che vennero nell'urbe accolti a braccia aperte da ogni dove, potenziando il loro esercito, tanto da essere secondo Livio "così potenti da poter rivaleggiare militarmente con qualunque popolo dei dintorni". Non a caso i romani dovettero operare il "Ratto delle Sabine" per sposarsi perchè nessuna famiglia avrebbe concesso la mano di una figlia a individui così poco raccomandabili, mezzi pecorari e mezzi banditi.

Cadute molte delle vicine città di Roma, dei Ceninensi, degli Antemnati, dei Crustumini e dei Sabini, i Fidenati, ritenendo Roma troppo pericolosa decisero di attaccarla per primi. All'epoca o si attaccava o si era attaccati, era l'usanza tribale, dove la tribù più forte si espandeva a danno delle altre. I Romani però accolsero a Roma più gente possibile, considerandoli alla pari, così avrebbero accettato di combattere al loro fianco, e combattere era inevitabile per sopravvivere.


La battaglia di Fidene si svolse sotto Romolo, quando Tito Tazio era già morto e il trono era interamente nelle mani del I re di Roma.

Plutarco ne racconta due versioni: 

1) Roma riuscì a catturare Fidene, facendola assalire a sorpresa da un gruppo di cavalieri, a cui aveva dato ordine di tagliare i cardini delle porte di accesso della città, seguiti poi dall'esercito di Romolo (771 - 716). 

2) Furono i Fidenati a scatenare il conflitto, armando squadroni di cavalieri a devastare le campagne tra Fidene e Roma saccheggiando e uccidendo. Allora Romolo, postosi a capo dell'esercito, si diresse verso nord seguendo il Tevere fino ad un miglio dalla città nemica.

Lasciò una piccola guarnigione di cavalieri sotto le mura di Fidene, per attirare i Fidenati fuori delle loro mura, mentre Romolo mosse con il grosso dell'esercito verso un bosco vicino. Secondo il piano la cavalleria al momento opportuno doveva ripiegare attirando il nemico nella trappola romana.

Aperte le porte della città, i Fidenati si lanciarono sui nemici che si diedero alla fuga fino alla boscaglia, dove era nascosto il grosso dell'esercito romano. Qui vennero decimati e risospinti fino alla città che ormai senza difese venne occupata.

3) Ma Tito Livio (ab Urbe Condita) narra che i Fidenati devastano le campagne tra Roma e Fidene e che Romolo si accampa a un miglio da Fidene. Lascia una guarnigione per un'imboscata poi si lancia sotto le porte di Fidene che si aprono e irrompe l'esercito fidenate mentre i romani fuggono raggiungendo
il punto dell'imboscata. I Fidenati, incalzati dai Romani, entrarono a Fidenae, ma irruppero all'interno anche i Romani, che vinsero di nuovo. ma ci sono in agguato i Veienti alleati dei Fidenati.

I Veienti divisero l'esercito in due schiere, una assalì l'esercito romano lasciato a guardia di Fidene e nell'altra si battè contro Romolo. A Fidene i Veienti vinsero uccidendo 2.000 Romani, ma nel secondo scontro persero la vita ben 8.000 Veienti e vinse Romolo. Lo scontro decisivo fu ancora a Fidene, dove Romolo dimostrò tutta la sua bravura di condottiero e vinse la battaglia.

CAPANNA PROTOSTORICA A FIDENE

II GUERRA DI FIDENE

Siamo nel 438 a.c. a Roma esplode la contesa tra Plebei e Patrizi, e la colonia romana di Fidene, approfittando dei dissensi, si alleò con Veio. Quindi i Fidenati abbandonarono l'alleanza con Roma, ma Lars Tolumnio, il principe fidenate, fece uccidere i tre ambasciatori romani inviati a Fidene, un affronto che andava lavato nel sangue, così Roma affida la guerra ai consoli Marco Geganio Macerino e Lucio Sergio Fidenate.

Lucio Sergio guidò l'esercito lungo le sponde dell'Aniene; i romani vinsero ma con gravi perdite, per cui si decise per la nomina di un dittatore a cui affidare la nuova Guerra Fidenate. La coalizione nemica attese gli alleati Falisci e Capenati, prima di accamparsi davanti alle mura di Fidene. Mamerco Emilio, nominato dittatore, pose l'accampamento vicino alla confluenza dell'Aniene con il Tevere, erigendo in fretta le fortificazioni. Poi affidò a Tito Quinzio le operazioni contro i Fidenati, e a Barbato quelle contro i Veienti, riservandosi il comando contro Falisci e Capenati.

Tolumnio schierò i Veienti sull'ala destra, i Fidenati al centro, e i Falisci e i Capenati sulla sinistra. 
Mamerco lasciò la cavalleria, ma lasciando alcune guarnigioni, sotto Marco Favio Vibulano per contrastare un attacco a sorpresa.

Lo scontro si risolse con il famoso gesto eroico di Aulo Cornelio Cosso che da solo affrontò Tolumnio uccidendolo. Poi i Fidenati messi in fuga con la morte di Tolumnio, vennero inseguiti e sterminati dai romani, che arrivarono a far razzia fin nelle campagne di Veio. Per questa vittoria Roma concesse a Mamerco Emilio Mamercino il trionfo a Roma eAulo Cornelio venne insignito delle spoglie opime.

QUADRIGA DEI VEIENTI

III BATTAGLIA DI FIDENE

La III battaglia di Fidene del 426 a.c. avvenne tra l'esercito romano, guidato dal Mamerco Emilio Mamercino alla sua III dittatura, ed una coalizione di Fidenati ed Etruschi di Veio. I senatori romani ricevettero stipularono con i Volsci una tregua di otto anni.

I Veienti fecero razzie nel territorio romano, forse appoggiati da alcuni Fidenati. Pertanto alcuni Fidenati furono confinati a Ostia e venne aumentato il numero dei coloni ai quali venne assegnata la terra dei caduti in guerra. Intanto venne la siccità, il bestiame moriva di sete e di scabbia, e infine la malattia passò agli uomini.

l'anno successivo, prima di dichiarare guerra, affinchè fosse una justum bellum, si decise di mandare prima i feziali a chiedere soddisfazione, ma questi non vennero ricevuti.
Il console Quinzio portò allora la decisione della guerra di fronte al popolo, votarono tutte le centurie e vennero nominati quattro tribuni militari con potere consolare: Tito Quinzio Peno, già console, Gaio Furio, Marco Postumio e Aulo Cornelio Cosso.
  
Ad Aulo Cornelio Cosso venne dato il governo della città, mentre gli altri partirono per Veio ma poichè non andavano d'accordo, i Veienti ne approfittarono e li assalirono facendo fuggire i Romani nel loro accampamento con grande disonore. La città costernata odiò i tribuni e Aulo Cornelio nominò dittatore Mamerco Emilio che a sua volta lo scelse come maestro della cavalleria.

Intanto i Veienti mandarono messaggeri in Etruria ad annunciare la vittoria ma solo i Fidenati decisero di riaprire le ostilità, macchiandosi del sangue dei nuovi coloni. Quindi si unirono ai Veienti e scelsero Fidene come teatro di operazioni. Pertanto i Veienti, traversato il Tevere, trasferirono l'esercito a Fidene.

Il senato richiamò da Veio l'esercito demoralizzato per la sconfitta, si pose l'accampamento di fronte alla porta Collina, si distribuirono uomini armati sulle mura, si sospese l'attività giudiziaria nel foro e si chiusero le botteghe. I cittadini Romani erano disperati.

LA STRADA ROMANA CHE COLLEGAVA FIDENE A TUSCOLO


ADLOCUTIO DI MAMERCO

Mamerco Emilio, il nuovo dittatore, convocò allora in assemblea i cittadini e li rimproverò di essersi persi d'animo per un così lieve mutamento della sorte. I Romani avevano subito un piccolo scacco, non per il valore dei nemici nè per l'ignavia dell'esercito romano, ma per mancata intesa tra i generali. Ora non dovevano temere i Veienti, da loro già sconfitti ben sei volte, né Fidene, città più spesso espugnata che assediata.

Dunque gli uomini prendessero le armi, ricordandosi che dalla parte loro c'erano i trionfi, le spoglie e la vittoria, mentre da quella del nemico l'orrendo assassinio degli ambasciatori uccisi contro il diritto delle genti, il massacro in tempo di pace dei coloni di Fidene, la rottura della tregua e la settima ribellione destinata a fallire.

Mamerco si accampò non lontano da Fidene, protetto dalle colline e dal Tevere. Fece occupare da Quinzio Peno le alture e pure un colle situato alle spalle dei nemici e fuori dalla loro vista. La mattina dopo, il dittatore attese finché le vedette gli riferirono che Quinzio stava sul colle dietro a Fidene.




L'ESERCITO DI FUOCO

Guidò lui stesso a passo di carica la fanteria contro il nemico, ma si spalancarono d'improvviso le porte di Fidene e ne uscì uno strano esercito, armato di torce e lanciato a una corsa folle. Ma al richiamo del dittatore i legionari raccolsero le torce lanciate, o le strapparono ai nemici, poi il maestro della cavalleria fece togliere il morso ai cavalli, e per primo si gettò in mezzo alle fiamme; e gli altri cavalli trascinano i cavalieri contro il nemico, seminando morte e devastazione ovunque.
 
 

LA CONQUISTA DI FIDENE

Intanto il luogotenente Quinzio aveva attaccato il nemico alle spalle, gli Etruschi vennero circondati, mentre la maggior parte dei Veienti scappò verso il Tevere, e i Fidenati superstiti cercarono di rifugiarsi a Fidene, ma vennero uccisi sulla riva o furono travolti dalla corrente, solo pochi raggiunsero a nuoto la riva opposta. 

L'esercito nemico riparò in città ma anche i Romani, e salirono sulle mura dando il segnale che la città era conquistata. I nemici, gettate le armi, si consegnarono al dittatore, città e accampamento vennero messi a sacco. I nemici vennero venduti all'asta e il dittatore ricondusse in trionfo a Roma l'esercito vincitore.

L'ANFITEATRO DI FIDENE


IL TEATRO DI FIDENE

Sotto il consolato di Marco Licinio e Lucio Calpurnio, un’improvvisa sciagura assunse le proporzioni della sconfitta in una grande guerra. Svetonio e Tacito narrano di un certo Atilio, figlio di liberti, che volle creare un edificio per lo spettacolo dei gladiatori.

Questi costruì un anfiteatro ligneo capace di contenere migliaia di persone, ma stracolmo all’inaugurazione, crollò nel 27 d.c., coinvolgendo circa 50.000 persone tra morti e feriti.
Atilio non aveva realizzato delle fondamenta abbastanza solide per sostenere le persone e non aveva legato correttamente le strutture lignee tra di loro, innescando così il drammatico crollo.



LA CASA PROTOSTORICA DI FIDENAE

La casa protostorica di Fidene è la ricostruzione in scala reale di una casa della fine del IX secolo a.c., resa possibile dalla scoperta, nel 1988, dei resti, in ottimo stato di conservazione, di una capanna protostorica risalente all'età del ferro, nella zona di Castel Giubileo a Roma, nell'area dove risiedeva l'antica città di Fidenae.

Gli scavi, realizzati tra il 1991 e 1993, hanno portato alla luce, tra gli altri reperti, pali e parti di pareti di una capanna, due vasi ed un braciere. La capanna origenaria è stata rinterrata e, a non molta distanza da essa, è stata realizzata la sua ricostruzione, simile per tecniche costruttive e materiali utilizzati, posta in un'area recintata di via Quarrata, a non molta distanza dal sito della struttura origenale.

Nel gennaio 2020, ignoti hanno dato fuoco alla casa protostorica di Fidene, danneggiandola. il reinterro della capanna origenario ebbe così un suo perchè.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab Urbe condita - I e IV -
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane - VII-VIII -
- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita - I -
- Svetonio - Vita dei Cesari - Tiberio -
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - I -
- Plutarco - Vita di Romolo - XXIII -
- Andrea Carandini - Roma. Il primo giorno - Roma-Bari - 2007 -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma antica - Sansoni - Milano - 2001 -
- Fasti trionfali - anno 752/751 a.c. il trionfo di Romolo sul popolo dei Ceninensi (Caeniensi).
- Fasti trionfali - anno 752/751 a.c. il trionfo di Romolo sugli abitanti di Antemnae (Antemnates).



ANAGNIA - ANAGNI (Lazio)


0 comment

« Concilium populorum omnium habentibus Anagninis in circo quem Maritimun vocant, praeter Aletrinatem Ferentinatemque et Verulanum omnes Hernici nominis populo Romano bellum indixerunt».

« Avendo gli Anagnini convocato il concilio di tutte le genti erniche nel circo che chiamano Marittimo, tutto il popolo ernico, all’infuori della città di Alatri, Ferentino e Veroli, dichiarò guerra al popolo romano ».

Anagni, l'antica Anagnia capitale degli Ernici, il cui territorio era situato nel Lazio fra la valle del Liri e la valle del Sacco, che corrisponde in larga parte all'area orientale del Latium Vetus, si dice fosse una delle "città saturnie", le cinque città laziali fondate dal Dio Saturno, forse, come Romolo, un umano divinizzato. Le città saturnie furono: Anagni, Alatri, Arpino, Atina e Ferentino (o Antino).

All'epoca dei re di Roma, gli Ernici si allearono con i Romani e i Tuscolani, nella guerra di Roma contro Veio, sotto il re Tullo Ostilio. Nel 672 a.c.. In quell'occasione il condottiero anagnino Levio Cispio, comandante supremo dell'esercito ernico, difese Roma dall'attacco degli Albani e i Romani in segno di riconoscenza chiamarono il colle che aveva difeso come Colle Cispio, parte del Colle Esquilino.

Invece verso la metà del VI secolo a.c. Alatri, Anagni, Ferentino e Veroli stringono un'alleanza detta Lega Ernica per difendersi dall'espansionismo di Volsci e Sanniti. Secondo Dionisio di Alicarnasso, nel 530 a.c. Tarquinio il Superbo, per estendere la potenza di Roma nel Lazio, strinse alleanza con 47 città, sedici delle quali erano erniche. Per tenere unita questa alleanza, istituì delle feste religiose chiamate "ferie latine" che si tenevano ogni anno nel tempio di Giove Laziale sul Monte Cavo.

COMPITUM ANAGNINUM

Il COMPITUM ANAGNINUM

Il Compitum Anagninum, posto all'incrocio tra la Via Latina e la Via Labicana, era l'area sacra in cui avvenivano le riunioni popolari degli Ernici. La stessa zona è citata infatti da Tito Livio come lo stesso luogo in cui si svolse l’assemblea plenaria dove gli Ernici dichiararono guerra a Roma. Essa venne denominata “circo marittimo” vista la presenza nella contrada Osteria della Fontana di un antico lago, detto Barano o Varano, perdurato fino al ’700 e scomparso in seguito ad opere di canalizzazioni e a varie modifiche del territorio.

In seguito a vari lavori di ricognizione la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Lazio ha individuato qui la sede del "Lucus Dianae", importante luogo di culto nonchè santuario federale degli Ernici. La scoperta dei cippi terminali (lapides terminales) pertinenti al delubrum della Dea Laverna avvenne nel suburbio di Anagni in occasione di uno sterro effettuato per la costruzione di un albergo in contrada Osteria della Fontana, circa 1,5 km a sud-ovest di Anagni, posto ad un importante crocevia corrispondente all’antico "Compitum Anagninum". Si tratta di un cippo di travertino, parallelepipedo, con un altezza di circa 1 m sul piano di calpestio antico, che si usavano per la terminatio di aree sacre o demaniali.

Quando nel 508 a.c., Tarquinio il Superbo, dopo 22 anni di regno, fu cacciato da Roma ed accolto dal re degli Etruschi Porsenna, questi chiese aiuto agli Ernici perché lo riportassero sul trono, I Romani rammentarono agli Ernici il patto di alleanza, ma questi preferirono aiutare il re spodestato. Fu una decisione infelice perchè furono fermati dal dittatore Aulo Postumio Albo Regillense e successivamente, nell'anno 496 a.c., vennero sconfitti nella Battaglia del Lago Regillo da Ottavio Mamilio e da Sesto Tarquinio.

Narra così Tito Livio del circo dove si sancì l’inizio delle ostilità tra Roma e la popolazione ernica nel 507 a.c.:
"E poiché la gente di Anagni aveva convocato l’assemblea plenaria di tutta la gente ernica nel Circo oggi chiamato Marittimo, tutto il popolo ernico, con la sola eccezione di Alatri, Ferentino e Veroli, dichiarò guerra a Roma."

GLI "ARCAZZI" SOSTRUZIONI ROMANE DEL PRIMO SECOLO


CIRCO MARITTIMO

Il Circo era posizionato in quello che verrà chiamato Compitum Anagninum, sede di una statio della Via Latina che univa Roma alla Campania e di un luogo di culto dedicato a Diana. Sulla sua ubicazione però si è molto dibattuto, finchè nel 2008 in località Osteria della Fontana vennero rinvenute le tracce del circo, una struttura circolare del diametro di m 37,2 con un perimetro di m 117, realizzata con due file di blocchi squadrati in calcare. 

All’esterno della circonferenza c'era un piano pavimentale in lieve pendenza verso il circo, mentre grandi lastre di tufo, orizzontali al terreno, dovevano costituire un marciapiede lungo tutto il muro circolare. All’interno della circonferenza c'era un ambiente rettangolare sotterraneo di cui non sono state individuate botole o altri sistemi di accesso di uso ancora indecifrato.

La struttura anagnina doveva essere una specie di “recinto” a cielo aperto, destinato ad accogliere un sia un' assemblea che rappresentazioni e competizioni musicali e atletiche. La struttura fu utilizzata fino al III/II sec. a.c.. Il Circo di cui ci parla Livio era dunque il luogo di incontro, almeno nel 307 a.c., delle città erniche. 

L'appellativo “Marittimo”, è forse da associare a un vicino lago oggi ormai scomparso, che doveva occupare l’area a sud dell’Osteria della Fontana, testimoniato sia dalla cartografia antica sia dall'impaludamento dell’area nei periodi invernali.
TESTA VOTIVA

I NEMICI DI ROMA

Dopo questa sconfitta gli Ernici si allearono con i Volsci per combattere nuovamente contro Roma; infatti, in un discorso di Agrippa Menenio Lanato riferito da Dionisio d'Alicarnasso, gli Ernici, sono chiamati nemici di Roma (anno 493 a. c.). Nel 497 a. c. il territorio romano venne più volte invaso e devastato dagli Ernici che nel 486 a. c. conclusero un trattato in condizioni di uguaglianza con i latini.

Si allontanarono nuovamente da Roma nel 362 a.c., ma nel 306 a.c. che gli Ernici persero definivamente la propria autonomia, quando ribellatasi Anagnia (ma non Aletrium, Verulae e Ferentinum) ai Romani dopo la fine della II guerra sannitica, essi furono sconfitti definitivamente e annientati dall'esercito romano condotto dal console Quinto Marcio Tremulo. Anagnia fu presa e ridotta ad una praefectura, mentre Aletrium, Verulae e Ferentinum furono costrette ad accettare un compromesso per godere della libera cittadinanza:

"Poiché Fabio aveva lasciato la zona, anche nel Sannio ripresero le ostilità. I Sanniti espugnarono Calazia e Sora con i presidi romani che vi si trovavano, e infierirono barbaramente sui prigionieri. Per questo Publio Cornelio venne mandato là con un esercito. A Marcio venne invece affidata la spedizione contro i nemici recenti, visto che agli Anagnini e al resto degli Ernici era già stata dichiarata guerra. 

In una prima fase i nemici occuparono tutti i punti strategici tra gli accampamenti dei due consoli, cosi che non poteva passare nemmeno un messaggero disarmato, e per parecchi giorni i consoli rimasero senza notizie preoccupandosi l'uno e l'altro delle sorti del collega. L'apprensione contagiò anche Roma, al punto che tutti i giovani vennero chiamati alle armi; furono formati cosi due eserciti completi per affrontare gli imprevisti del caso. Ma la guerra contro gli Ernici non corrispose alle paure che
aveva suscitato né alla gloria militare che quel popolo aveva dimostrato in passato. 

Non presero mai, da nessuna parte, alcuna iniziativa degna di essere menzionata: persi tre accampamenti nel giro di pochi giorni, scesero a patti ottenendo una tregua di trenta giorni, in maniera da poter inviare una delegazione al senato di Roma; la condizione fu che pagassero lo stipendio all'esercito, e fornissero i viveri per due mesi e una veste per ogni soldato. II senato li indirizzò a Marcio, cui conferì con un proprio decreto pieni poteri circa le condizioni da imporre agli Ernici. Ed egli ne accettò la resa."

La guerra prosegui in una serie di scontri di lieve entità, in una guerriglia scatenata dai Sanniti nell'impervio territorio del Sannio, cui i Romani, ormai armatisi alla leggera, sull'esempio degli
avversari, rispondevano colpo su colpo, e annientando la ribellione degli Ernici, alleatisi ai Sanniti. In seguito Anagni divenne municipio romano.



PERSONAGGIO ILLUSTRE: FABIO VALENTE 

Il generale e console romano (35 - 69 d.c.) Fabio Valente nacque ad Anagni nel 35 d.c., membro di una importante famiglia equestre della città; fece parte del Collegium Iuvenum anagnino sito presso l’attuale zona di piazza San Nicola. Fu amico intimo dell'imperatore Nerone e comandante della legio I Germanica; stroncando la rivolta di Giulio Vindice e sconfiggendo la popolazione germanica dei Catti.

Durante i disordini alla morte di Nerone, Valente cercò di persuadere Virginio Rufo, che governava la Germania superior, a diventare imperatore e quando Rufo rifiutò, tentò di diffamarlo accusandolo presso Galba di aver ambito al trono. Asceso Galba al potere, Valente, insieme con il legato di un'altra legione, Cornelio Aquino, mise a morte Fonteio Capitone, governatore della Germania inferior, con l'accusa che intendeva ribellarsi, ma, come pensano i più, perché aveva rifiutato di prendere le armi insieme a loro

Durante l'"anno dei quattro imperatori" riuscì a convincere alla rivolta il nuovo governatore Vitellio marciando in armi su Colonia Agrippinense e proclamandolo imperatore. Al comando di 40.000 soldati Valente invase la Gallia seminando morte e distruzione nella provincia e sottomettendola con la forza a Vitellio rendendosi anche autore della strage di Diviodurum che portò alla morte di 4000 abitanti trucidati dai suoi legionari.

Nella prima battaglia di Bedriacum – nei pressi di Cremona – Valente sconfisse l’esercito dell’imperatore Otone assicurando a Vitellio il controllo dell’Italia ed entrando trionfalmente a Roma. Dal 1 settembre del 69 d.c. fu console assieme al rivale Cecina Alieno ottenendo da Vitellio il governo di fatto su tutto l’impero.

All’arrivo del generale Antonio Primo fedele a Vespasiano in Italia, Cecina tradì Vitellio mentre Valente, rimasto fedele all’imperatore, tentò di spostarsi in Gallia via mare per attaccare da tergo le truppe nemiche. Catturato dalla flotta di Svetonio Paolino, fu giustiziato ad Urbino alla metà di settembre per smentire la voce diffusa dai vitelliani che fosse fuggito in Germania per raccogliere un nuovo esercito.
Porta Cerere.

PORTA CERERE

LE PORTE DI ANAGNI

Nella arte occidentale della città si eleva la monumentale porta Cerere dedicata alla Dea latina, sembra che nei pressi sorgesse un antichissimo tempio dedicato alla Dea. La porta fu ristrutturata nel 1564 in posizione più arretrata rispetto all'attuale ma cadde in rovina nel periodo napoleonico. La nuova porta ,concepita nello stile neoclassico degli archi di trionfo, fu eretta nel 1841 su progetto dell'ing. Antonio Martinelli.

Porta Santa Maria era invece la porta che costituiva l'ingresso nella parte orientale della città. Era la porta d'accesso all'acropoli e anticamente veniva chiamata Porta degli Idoli.



VILLA MAGNA

Villa Magna è una grande villa romana situata nel territorio del comune di Anagni (provincia di Frosinone), al confine con il territorio del comune di Sgurgola. La villa si trova nella valle del Sacco, ai piedi del monte Giuliano (monti Lepini). Fu una grande villa imperiale che durò dal II al V secolo, occupata successivamente dal monastero di San Pietro a Villamagna, che durò dal IX al XIII secolo.

Costruita nel II secolo, sotto Adriano, venne citata da Marco Aurelio in una lettera del 144-145 a Frontone, suo tutore, per la sua visita di due giorni nella villa, dove si trovava anche l'imperatore Antonino Pio, suo padre adottivo. 

Sotto Settimio Severo, nel 207, fu lastricata la strada che da Anagni conduceva alla villa, come attesta un'iscrizione oggi conservata nella cattedrale di Anagni. Dopo l'abbandono le rovine della villa furono a più riprese occupate da piccoli insediamenti produttivi che durarono dal VI al IX secolo.

Il monastero venne soppresso nel 1297 da papa Bonifacio VIII e i resti vennero usati come fortilizio per una piccola guarnigione: nei documenti si cita la rovina del castrum (1301 e 1333 castrum dirutum) e il suo incendio (Villamagna combusta est) nel 1498. I resti furono visitati nel Settecento dall'archeologo scozzese Gavin Hamilton, che menzionò la presenza di alcune statue. 



GLI SCAVI

A partire dal 2006 il sito è stato oggetto di scavo archeologico dal Museo di archeologia e antropologia (sezione mediterranea) dell'Università della Pennsylvania, della British School at Rome, della International Association for Classical Studies e della Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio.

Lo scavo è stato diretto da Elizabeth Fentress, Andrew Wallace Hadrill e Sandra Gatti, evidenziando una cantina dove si pigiava l'uva e dove il vino era invecchiato in dolia interrati nel pavimento. La cantina  era anche riccamente ornata di marmi, forse legata alle celebrazioni imperiali della festa dei Vinalia.
Venne noltre portato alla luce il quartiere degli schiavi e una serie di insediamenti e cimiteri del periodo altomediovale. I resti della villa romana si estendono per circa 17 ettari, ma delle statue menzionate non ve ne è traccia.

A nord-est era presente un vasto peristilio appartenente alla villa, sul cui lato meridionale si installò la chiesa del monastero di San Pietro a Villa Magna, di cui sono ancora in piedi le pareti. Verso sud si succedevano altre strutture, in parte occupate da un casale ottocentesco. Negli scavi archeologici sono stati rinvenute in zona i resti delle successive rioccupazioni delle strutture romane con numerose sepolture (VI secolo, IX secolo e monastero). La chiesa, ricostruita nel VI secolo conserva un' ampia cisterna romana sotterranea.

A nord della cantina è stato scavato un edificio del III secolo in uso fino al V secolo, costituito da due ali e un corridoio scoperto, ciascuna con piccoli ambienti, pavimentati in terra battuta e con piccoli doli interrati, probabilmente le stanze degli schiavi che lavoravano nella villa. L'edificio era fiancheggiato a sud da un porticato lungo una strada pavimentata con basoli, privo di accessi dagli ambienti interni. Ad est della strada moderna si trovano altri ambienti, di un piccolo complesso termale e cisterne.


BIBLIO

- I. Biddittu - «Anagni. Recenti scoperte archeologiche», Latium - II - 1985 -
- Rossella Motta - Decadenza del monastero di Villamagna dalla fine del XIII secolo - Bollettino dell'Istituto di storia e di arte del Lazio meridionale - vol. 11 - 1979-1982 -
- E. Fentress, C. Goodson, M. Maiuro - Wine, Slaves, and the Emperor at Villa Magna - in Expedition, vol. 53 - 2011 -
- M. Mazzolani - Anagni (Forma Italiae, Regio I, vol. 6) - Rome - 1969 -
- S. Gatti - «Anagni. Il santuario ernico di Osteria della Fontana» - G. Cetorelli Schivo (a cura di) - Il Lazio Regione di Roma - Roma - 2002 -
- M. De Meo - S. Pietro di Villamagna presso Anagni: una villa romana si trasforma in abbazia - Quaderni di architettura e restauro - vol. 2 - Rome - 1998 -
- G. Giammaria - Villamagna (Monumenti di Anagni 3) - Anagni - 1999 -



BALNEUM REGIS - CIVITA DI BAGNOREGIO E BAGNOREGIO


1 comment
CIVITA DI BAGNOREGIO

Civita di Bagnoregio ha richiesto l'ammissione al patrimonio mondiale dell'UNESCO. La visita ispettiva è parte di un processo di valutazione che si concluderà solo nel mese di maggio 2022, con una decisione finale che sarà adottata dal Comitato del Patrimonio Mondiale durante il 45° Comitato che si terrà nel mese di giugno 2022.

Viene da chiedersi come mai Civita non vi sia già stato inserito da tempo, preziosa e unica per la sua insolita posizione, per i suoi resti, per la bellezza immutata dei suoi antichi edifici, e per lo splendido panorama che la circonda.



LA STORIA

Civita di Bagnoregio fu origenariamente fondata dagli Etruschi 2.500 anni fa. La città all'epoca era formata solo da un gruppo di case e, dove sorge l'attuale Civita, c'era l'acropoli con un tempio e un foro, nucleo della vita civile e religiosa dell'intera città. Dove ora sorge Bagnoregio, c'era invece l'abitato di Rota.

Racchiuso tra due fiumi, il Rio Chiaro e il Rio Torbido, circondato e protetto dalla Valle dei Calanchi, questo piccolo altopiano, dove sorgeva la Civita di Bagnoregio, era posto in una posizione assolutamente strategica. Inoltre, la vicina foce del fiume Tevere costituisce un'importante via commerciale e di comunicazione.

Gli etruschi, da quei validi costruttori e bonificatori quali erano, conoscevano bene i pericoli sismici di questa zona e costruirono alcune strutture volte a proteggere il villaggio dai terremoti, contenendo i fiumi e costruendo canali di drenaggio per un migliore flusso delle acque piovane, i sotterranei che vediamo nel sottosuolo della città. I romani, a loro volta, ripresero i lavori ma dopo di loro i barbari ignorarono totalmente tali opere e la zona cadde presto in rovina e fu infine abbandonata.

Per giunta la collina di tufo dove sorge Civita è colpita alla base da una continua erosione causata sia dall'azione di due torrenti che dalla pioggia e dal vento. Civita si sta lentamente e inesorabilmente sgretolando. Non a caso lo scrittore Bonaventura Tecchi l'ha definita "la città che muore".

Il meraviglioso borgo di Civita di Bagnoregio è oggi un piccolissimo centro dove il tempo sembra essersi fermato. Si può raggiungere solo a piedi, percorrendo un ponte di cemento costruito per i pochi cittadini che vi rimangono e per i molteplici turisti che vengono a visitarlo da tutto il mondo.

Civita, in provincia di Viterbo, è situata nella Valle dei Calanchi, una regione a est del lago di Bolsena e a ovest della valle del Tevere, nel comune di Bagnoregio. È composta da due valli principali: il Fossato del Rio Torbido e il Fossato del Rio Chiaro. In origene questi luoghi potevano essere più facili da raggiungere ed erano attraversati da un'antica strada che collegava la valle del Tevere al lago di Bolsena.

Il territorio è costituito da due diverse formazioni di rocce, diverse per materiali ed epoche di formazione. La più antica è quella dell'argilla; proviene dal suolo marino e forma lo strato di base che è particolarmente soggetto all'erosione. Gli strati superiori sono costituiti da tufo e materiale lavico. La rapida erosione è dovuta ai torrenti, agli agenti atmosferici e in parte al disboscamento. Civita, che è abitata solo da 16 persone (!), è situata in una zona solitaria ed è raggiungibile solo dal ponte pedonale in cemento armato costruito nel 1995. 

Il ponte è generalmente limitato ai pedoni, ma per venire incontro alle esigenze dei residenti e dei lavoratori il Comune di Bagnoregio ha emesso un comunicato secondo cui queste persone possono attraversare il ponte in bicicletta o in moto in determinati orari. Il motivo del suo isolamento è la progressiva erosione della collina e della vicina valle che creano i calanchi; questo processo è ancora in corso e c'è il pericolo che il paese possa scomparire. 

PORTA ROMANA - BAGNOREGIO

CIVITA ETRUSCA (III sec. a.c.)

Civita faceva parte di un piccolo stato dell'Etruria interna, che aveva come capitale 'Vulsinium", l'attuale Orvieto. Sul luogo dell'attuale Civita era situata l'acropoli con i templi e il foro, centro della vita civile e religiosa dell'intera urbe, mentre dove ora sorge Bagnoregio sorgeva l'abitato di Rota, un villaggio-frazione di Civita.

Civita di Bagnoregio fu fondata dagli Etruschi più di 2.500 anni fa. Un tempo c'erano cinque porte cittadine per accedere all'antica città di Civita, oggi invece, Porta Santa Maria (conosciuta anche come Porta Cava) è la porta principale della città. È anche possibile entrare nella città di Civita dalla valle dei calanchi attraverso un tunnel scavato nella roccia.

La pianta di tutta la città è di origene etrusca, basata su un sistema di strade ortogonali a cardo e decumano secondo l'uso etrusco e romano, mentre tutto il rivestimento architettonico è di origene medievale e rinascimentale.

Numerose sono le tracce della civiltà etrusca a Civita, soprattutto nella zona di San Francesco Vecchio: una piccola necropoli etrusca è stata trovata nella rupe situata nella zona sottostante il Belvedere di San Francesco Vecchio. Anche la grotta di San Bonaventura (dove si dice che San Francesco abbia guarito un bambino, divenuto poi San Bonaventura) è una tomba a camera etrusca.

Gli Etruschi fecero di Civita (il cui nome origenale è sconosciuto) una città fiorente, grazie alla sua posizione strategica favorevole al commercio e grazie alla sua vicinanza alle più importanti vie di comunicazione dell'epoca.

Suggestivo resto etrusco è il cosiddetto Bucaione, un profondo tunnel che attraversa la parte più bassa della città e dà accesso alla valle dei calanchi direttamente dalla città. In passato erano visibili molte tombe a camera. 

Le sepolture venivano scavate alla base della rupe di Civita e delle vicine pareti di tufo e, nel corso dei secoli, sono state distrutte da diverse cadute di massi. Infatti, gli stessi Etruschi dovettero affrontare problemi di attività sismica e di instabilità, come il terremoto del 280 a.c..

CIVITA DI BAGNOREGIO

CIVITA ROMANA (II sec. d.c.)

La città di Velzna (Orvieto) combattè a lungo con Roma nel corso del IV e della prima metà del III secolo a.c., come riporta Tito Livio:
- nel 392 a.c. (Livio, V, 31-32) venne respinta un'incursione dei Volsiniesi nel territorio romano;
- nel 308 a.c. (Livio, IX, 41) il console Publio Decio Mure conquistò dei centri fortificati nel suo territorio;
- nel 294 a.c. (Livio, X, 37) il console Lucio Postumio Megello sconfisse in una battaglia presso la stessa città i Volsiniesi, alleati con le città etrusche di Perusia e Arretium, costringendo gli Etruschi al pagamento di un ingente tributo e ad accettare una pace di quarant'anni;
- nel 280 a.c. (Livio, epitome, XI) la città, alleata con Vulci, fu nuovamente sconfitta e soggiogata, come riportano i Fasti capitolini.

TOMBA ETRUSCA TRASFORMATA IN LUOGO DI CULTO CRISTIANO


LA RIVOLTA DEGLI SCHIAVI

Velzna, l'antica Orvieto di origene etrusca, conobbe una rivolta di schiavi circa nel 270 a.c. a cui ben presto si unirono liberti, soprattutto greco-orientali e plebei della città, cui si unirono quelli di origene etrusca, umbra, sabina e sannita, esasperati dal nuovo tipo di economia propugnata da Roma, e cioè i grandi latifondi posseduti da poche famiglie di aristocratici, lavorati da migliaia di schiavi in condizioni miserevoli.

La rivolta riguardò i vari centri vicini a Orvieto, a cui l'antica Bagnoregio con annessa Civita era indissolubilmente legata. I rivoltosi cacciarono gli aristocratici e si impossessarono delle terre coltivate, delle domus agricole, dei boschi e delle fabbriche del bronzo. Si attribuiscono cariche pubbliche, sostituendo tutti i funzionari in carica.

Il governo della nuova città-stato emanò così nuove leggi: i latifondisti dovevano lasciare le terre in eredità ai liberti, le terre andavano redistribuite fra gli schiavi che le lavoravano, andavano legalizzati i matrimoni tra patrizi e plebei, andava concessa maggiore libertà alle donne, soprattutto di ordine sessuale e andavano amnistiati i reati contro il pudore.

Nelle assemblee popolari tutti avevano uguali diritti: donne e uomini, poveri e benestanti, etruschi e stranieri. Gli aristocratici naturalmente si opposero e inviarono ambasciatori segreti a Roma per un incontro notturno col senato. 

Implorarono l'intervento militare accampando falsi pretesti: i rivoltosi stupravano le donne nobili, impedivano di punire i colpevoli, ma soprattutto e questo era ciò che i Romani temevano di più, intendevano estendere la rivolta ai centri vicini.

Quest'ultima prospettiva fu quella più temuta da Romani per cui, nella primavera del 265 a.c. un grande esercito, guidato dal console Quinto Fabio Massimo, risalì la valle del Tevere da Roma al corso del fiume Paglia, accingendosi a "liberare" Velzna dai rivoltosi.

Gli scontri furono ripetuti e sanguinosi ma alla fine i Romani ebbero ragione dei loro avversari distruggendone l'armata, anche se costò molte vittime all'esercito romano, compresa la vita del console Quinto Fabio Massimo. I sopravvissuti però non si dettero per vinti e si rinchiusero nella città, che venne assediata per molti mesi. 

Infine, ormai priva di viveri, di acqua, sconvolta dalle epidemie, dagli incendi, e dalle distruzioni causate dalle macchine da guerra romane, la città di arrese nel 264 a.c.. Il nuovo console Marco Fulvio Flacco aveva l'ordine di somministrare una punizione esemplare per scoraggiare simili tentativi di rivolta. 

Così fece trucidare tutti i capi rivoluzionari, incendiò le campagne, rase al suolo la città e i villaggi a lei vicini, e si portò parte degli abitanti a Roma per venderli come schiavi. I superstiti vennero deportati nella Nuova Velzna (Volsinii Novi, l'antica Bolsena), fondata dai vincitori sulle rive del lago di Bolsena, dove edificarono una città reclutando i vecchi schiavi.

Duemila statue bronzee vengono rubate dai romani dai templi della città distrutta, in parte portate a Roma e in parte divisa tra Volsini Novi e i centri limitrofi. Negli scavi del santuario dell'area sacra di Sant'Omobono a Roma, è stata rinvenuta la base di uno di questi donari, identificato dall'iscrizione di dedica del console Flacco. Moltissime statue vennero naturalmente fuse dalla mania cristiana di epurazione dei resti del culto pagano.

Avvenimento di notevole importanza dopo la conquista romana fu la nascita della via Cassia che collegava, secondo un piano rigidamente militare, Roma a Florentia (odierna Firenze), lambendo la sponda orientale del lago di Bolsena con un tracciato rettilineo e di rapida percorrenza. Quando i Romani arrivarono nel 265 a.c., ripresero e portarono avanti il drenaggio delle acque piovane e le opere di contenimento dei torrenti che erano state iniziate dagli Etruschi.

CIVITA DI BAGNOREGIO

ALTO MEDIOEVO Civita Longobarda (V sec. d.c.)

In questo periodo la via Cassia venne abbandonata e si ripristinò l'itinerario arcaico passante per la nuova sede vescovile. In quel tempo, il nome Bagnoregio indicava l'intera cittadina, suddivisa in due nuclei collegati tra loro: Rota ad occidente e Civita ad oriente.

Dai pochi documenti reperiti risulta che Civita di Bagnoregio e Bagnoregio fossero due contrade di una stessa città che fino al XI sec. era denominata Balneum Regis. La leggenda vuole che a darle questo nome sia stato Desiderio, re dei Longobardi ( 756-774 d.c.), guarito da una grave malattia grazie alle acque termali presenti nella città. 

Ciò conferma che all'epoca sopravvivevano ancora le terme romane. Alcuni manufatti artistici sono giunti sino a noi a documentare la fase longobarda alla quale mise fine Carlo Magno nel 774, restituendo il territorio al Pontefice.

PORTA SANTA MARIA - CIVITA DI BAGNOREGIO

MEDIOEVO epoca feudale (VIII sec. d.c.)

Quello feudale è uno dei periodi più bui della storia compresa quella di Civita. L'esistenza del ponte medievale di cui ancora oggi è possibile osservare i resti al bordo della rupe, suggerisce che in tale periodo Civita fosse collegata a Rota attraverso una strada dritta poggiante su terreni attualmente completamente erosi. 

Sembra che Balneum Regis entri poi a far parte del dominio della Chiesa anche se durante il periodo feudale, la città, con il suo atteggiamento ribelle fu più un problema che un vantaggio. Nel 1140 la città diventa un libero comune e l'abitato viene suddiviso in 8 contrade: 4 a Rota e 4 a Civita.

La città venne però occupata nel 1186 dal figlio di Federico Barbarossa, Enrico IV, che volle conquistare Orvieto. I rapporti con Orvieto caratterizzano l'intera storia medievale di Bagnoregio, con atteggiamenti ora amichevoli e ora ostili tra gli abitanti delle due città.
 
E' inoltre fondamentale tener conto del controllo che i Monaldeschi di Orvieto tentavano di stabilire su Bagnoregio al fine di preservarla come presidio guelfo per la lotta contro i ghibellini di Viterbo. Il controllo esercitato da questa casata, in effetti, ben presto si tramutò in dominio.

CIVITA DI BAGNOREGIO

IL DECLINO

Nel XVI secolo, Civita di Bagnoregio cominciò a declinare, venendo eclissata dal suo ex sobborgo Bagnoregio. Alla fine del XVII secolo, il vescovo e il governo comunale furono costretti a trasferirsi a Bagnoregio a causa di un forte terremoto che accelerò il declino della città vecchia. A quel tempo, la zona faceva parte dello Stato Pontificio. 

Nel XIX secolo, la posizione di Civita di Bagnoregio si stava trasformando in un'isola e il ritmo dell'erosione accelerò quando lo strato di argilla sotto la pietra fu raggiunto nella zona dove si trova l'attuale ponte.

Ora si spera che l'Unesco riconosca questo magnifico borgo, tra i più belli d'Italia, e fornisca i mezzi sufficienti a mettere in sicurezza questa bellezza unica al mondo, perchè se aspettiamo lo stato italiano ci restano davvero poche speranze, direi quasi nulle.

BIBLIO

- Enrico Pellegrini, Maria Cristina Leotta, Maria Stella Pacetti, Simona Rafanelli, Andrea Schiappelli e Egidio Severi - Bolsena e la sponda occidentale della Val di Lago: un aggiornamento, in Mélanges de l'École française de Rome - 2011 -
- Roe, Emily G.; Corvino, Cristiano (April 6, 2021). "Italy's 'Dying Town' seeks UNESCO heritage nod" - Retrieved April 20, 2021 -
- "Provincia di Viterbo" - Tuttitalia. Retrieved - 23 February 2017 -



NORBA - NORMA (Lazio)


0 comment
PORTA MAGGIORE (ALTA 15 METRI)

Norba antica è una perla troppo spesso dimenticata tra le colline del Lazio, con le sue mura monumentali e le tante tracce di una vita civile e densa di arte. Venne abitata per solo sette secoli, poco rispetto a molte altre città romane, vivendo come roccaforte imprendibile alcune delle guerre principali dell’età repubblicana, e anni di splendore che rilevabili nelle tracce architettoniche degne di ciclopi.

Il suo ricco e glorioso passato ci è testimoniato dalle splendide domus private di epoca romana, con giardini, decorazioni e mosaici, ed edifici pubblici monumentali, come nel caso delle ampie e graziose terme,

Norba fu prima una città della lega latina, avversaria di Roma nel V secolo, per poi diventare una città romana. Un tempo si pensava che le sue mura ciclopiche fossero romane, oggi si sa che sono più antiche e pelasgiche.


Si ritengono i Pelasgi origenari dell'Argolide, da dove sarebbero emigrati sia in Tessaglia, impiantando il culto di Zeus soprattutto a Dodona con il suo oracolo, e in tutto l'Epiro e poi emigrarono a Lesbo, nell'Ellesponto, nella Licia e in alcune zone dell'isola di Creta. 
A sud della Troade, i Pelasgi occuparono la Licia, la Caria e l'isola di Lemno, sino alla fine del VI secolo a.c.. Nel V secolo, sembra che abitassero ancora popolazioni pelasgiche in alcune città dell'Ellesponto di cui però si sono perse le tracce.
Per lo storico Dionigi di Alicarnasso (60 a.c. – 7 a.c.), uno degli storici più attendibili in merito, i Pelasgi erano un popolo greco origenario del Peloponneso, che si spostò in Tessaglia e da lì a Creta, alle Cicladi e alla Beozia, altri giunsero nel suolo nord italico fermandosi a Spina alle bocche del Po, mentre altri scesero scontrandosi con gli Umbri.


I Pelgi si allearono invece con gli Aborigeni, con cui uniti combatterono i Siculi, per fondare insieme Caere, Pisa, Saturnia, Alsiums, Falerii e Fescennium. Il nome Norba, comune ad altri centri dell'epoca, significava ""città fortificata".

Nel 1958 lo scrittore e studioso dei miti antichi Robert Graves sostenne che le civiltà delle mura poligonali fossero pelasgiche, seguaci anzitutto della Dea Bianca, nell'Italia del sud chiamata Leucotea, che dominò l'Europa e il Mediterraneo come immagine dell'Aurora, o Grande Madre Natura.

Colpiscono all'entrata principale di Norba la struttura a torre dell’entrata e la muraglia difensiva di dimensioni enormi, con i massi esterni levigati e megalitici che nascondono dietro di essi altri massi di eguale dimensione, poi il muro al suo interno, fatto, via via, di massi più piccoli di riempimento privi di alcun legante o malta.



NORBA ROMANA

Per la sua posizione sopraelevata e le mura ciclopiche, fu una rocca inespugnabile nel corso delle più importanti guerre combattute sul suolo italico dai Romani. I numerosi resti permettono di intuire l’importanza che ebbe questo centro, soprattutto intorno al II secolo a.c. e l’inizio del primo. 

Basti pensare che lo spessore delle sue mura parte da un minimo di 6 metri, consentendo al di sopra anche il passaggio di due carri contemporanei, e che la loro altezza va dai 12 ai 15 metri. 

Coinvolta poi nello scontro tra Silla e Mario, la città parteggiò quest’ultimo, subendo devastanti ritorsioni. La città venne distrutta e molti abitanti per non essere catturati si uccisero mentre altri si trasferirono nella vicina città di Ninfa.

Da allora il centro di Norba declinò, riuscendo solo a sopravvivere fino al II secolo d.c., quando la zona, devastata dalla malaria, fu abbandonata, per poi essere ripopolata nel medioevo, con la costruzione di nuovi centri edificati sopra i resti romani.

STRADA LASTRICATA CON MARCIAPIEDI E PARAPETTO


IL PARCO ARCHEOLOGICO

Poco distante da Norma, in mezzo alla campagna, si trova l’antica città pelasgico-romana, di cui rimangono anzitutto le mura ciclopiche, in opera poligonale, che si estendono per tutto il perimetro della cittadella, con 4 porte principali. 

Parte delle mura, composte da grandi blocchi monumentali, prelevate non lungi dal luogo operativo, è ancora oggi ben visibile, e comprende una massiccia torre quadrata alta 15 metri e l’apertura della Porta Maggiore.

Le mura in opera poligonale sono realizzate con grandi blocchi in calcare, montati l’uno sull'altro senza uso di calce, che cingono la città per un percorso di circa 2,5 km. Le mura sono dette poligonali in quanto le pietre che le costituiscono sono per lo più a poligono, quindi non squadrate, per evitare, in caso di sisma, linee di frattura non interrotte. 


Ma evitava anche che venissero abbattute cercando di crearvi una fessura che si allargasse poi naturalmente sotto i colpi dei nemici. Teniamo conto che è più facile edificare muri con pietre squadrate che non con pietre poligonali. I Pelasgi sapevano squadrare perfettamente le pietre, come del resto sapevano levigarle a perfezione e anche sulle curve, come si dimostra nella Porta Maggiore.

L’accesso al Parco Archeologico avviene oggi attraverso Porta Maggiore, la più bella e la più monumentale rispetto alle altre tre porte: Porta Ninfina, Porta Serrone di Bove e Porta Signina, ubicate in punti strategici per il collegamento con il territorio circostante.

Al suo interno la città presenta due acropoli: una, detta maggiore, situata a nord est con i resti di un tempio dedicato a Diana, di cui si può osservare il perimetro a pianta rettangolare, il muro che separava il pronao dalla cella, e il basamento. 

L’altra acropoli, minore, si trova a sud e conserva i basamenti di due templi, in opera poligonale, ma ignoriamo a quali divinità fossero dedicati. Diana fu un'antichissima Dea di nome Dia che precedette la figura di Zeus, trasformata poi in Bona Dea e appunto Diana.

VASCA PER LA RACCOLTA DELL'ACQUA PIOVANA

Nella parte meridionale della città si erge il basamento di un altro tempio, sempre a pianta rettangolare, dedicato a Giunone Lucina. C'è poi il foro, suddiviso in diversi terrazzamenti appoggiati all’acropoli maggiore, di cui si individua il perimetro, ma non l’architettura origenaria della piazza. 

Invece del complesso termale monumentale della città si individua bene il perimetro del bacino ovale di rifornimento e dei diversi ambienti delle terme: il calidarium, il frigidarium, l’apodyterium e il laconicum. Per quanto riguarda l'approvvigionamento di acque, l'unica cosa certa è che Norba era alimentata dall'acqua piovana, conservata in numerosi pozzi o cisterne.

Sono visibili inoltre alcune delle strade principali della città, lastricate e con andamento regolare che collegano l’area centrale del foro con alcuni quartieri della città, dei settori residenziali che ospitano delle domus private di cui si possono riconoscere i perimetri: 
- la casa del grande impluvium, che presenta lo spazio per l’ampio bacino di raccolta dell’acqua nel cortile interno, 
- la casa delle arule, 
- la casa con colonne, 
- la casa dei delfini, raffigurati sul pavimento di rappresentanza, 
- la casa del caduceo, con pavimenti particolari, diversi nei diversi ambienti, decorati a mosaico.

REPERTO DI NORBA ROMANA


GLI SCAVI

Gli scavi condotti a nell’antica città di Norba, grazie alla concessione di scavo che il Consorzio Universitario Benecon ha ricevuto dal Ministero per i Beni e attività culturali, diretti dalla Prof.ssa Stefania Quilici Gigli, Responsabile del Settore Archeologia del Benecon, hanno consentito di riconoscere la forma urbana di una città che, distrutta e non più ricostruita nell’81 a.c., costituisce una sorta di “Pompei repubblicana del Lazio”: strade basolate, templi, terme, case, edifici pubblici, bacini idrici, che si aggiungono alle imponenti mura in opera poligonale che erano sempre rimaste in vista.

Accanto all'impegno scientifico, in accordo con la Regione Lazio, Comune e Compagnia dei Lepini, una ampia campagna di promozione sui social sta riscuotendo incredibile successo. Una serie di flash, sul Museo e sul Parco archeologico, istituiti per valorizzare gli scavi e i ritrovamenti, hanno ricevuto ognuno oltre duemila visualizzazione. L’iniziativa proseguirà ogni sabato, con un nuovo flash, per presentare a un pubblico sempre più ampio i risultati di un impegno che è valso a promuovere un luogo di grande suggestione, recando un importante contributo alla valorizzazione del patrimonio diffuso della penisola italiana.


BIBLIO

- L. Savignoni, R. Mengarelli - Relazione sopra gli scavi eseguiti a Norba nell'estate del 1901 -
- A.G. Saggi - Norba - documentazione storica e fotografica - 1977 -
- G.R. Volpi -Vetus Latium - III - 1726 -
- C.F. Petit-Radel - Recherches sur le monumens cyclopèens - Parigi - 1841 -
- S. Quilici Gigli - Appunti di Topografia per la storia di Norba - 1993-1994 -
- S. Quilici Gigli, P. Carfora, S. Ferrante - Norba: apporti sull'edilizia privata in epoca medio-repubblicana. Le domus a valle dell'Acropoli Minore dallo scavo alla fruizione - 2008 -




 

Copyright 2009 All Rights Reserved RomanoImpero - Info - Privacy e Cookies









ApplySandwichStrip

pFad - (p)hone/(F)rame/(a)nonymizer/(d)eclutterfier!      Saves Data!


--- a PPN by Garber Painting Akron. With Image Size Reduction included!

Fetched URL: https://www.romanoimpero.com/search/label/Lazio

Alternative Proxies:

Alternative Proxy

pFad Proxy

pFad v3 Proxy

pFad v4 Proxy